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AGCM contro il disegno di legge sull’Home Restaurant

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A cura dell’Avv. Massimo Simbula.

Il 5 febbraio ho pubblicato un articolo dove segnalavo diverse storture del disegno di legge sull’home restaurant (“DDL”).

3 giorni fa (10 aprile), l’AGCM, nell’ambito della sua attivita’ consultiva, ha pubblicato un parere fortemente critico sul DDL approvato alla Camera e ancora in attesa di approvazione del Senato.

Il parere, indirizzato al Presidente del Senato, al Presidente della Camera dei Deputati, al Ministro dello Sviluppo Economico, al Ministro dell’Economia e delle Finanze, evidenzia alcune criticita’ del DDL che avevo avuto modo di segnalare nel mio articolo e che peraltro erano state evidenziate anche da diversi operatori del settore.

In particolare  l’AGCM,  nell’esercizio dei poteri di cui all’articolo 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nella sua adunanza del 22 marzo 2017, ha ritenuto opportuno svolgere le seguenti considerazioni in merito ad alcune previsioni restrittive della concorrenza presenti nel disegno di legge A.S. n. 2647, recante “Disciplina dell’attività di home restaurant” (di seguito anche DDL n. S.2647).

“Il disegno di legge in questione intende disciplinare l’attività di Home Restaurant da parte di persone fisiche che vogliono offrire il servizio di ristorazione all’interno di abitazioni private, al fine tra l’altro di garantire “la leale concorrenza” tra gli operatori del settore e di “valorizzare e favorire la cultura del cibo tradizionale e di qualità” (art. 1).

In particolare, il DDL in oggetto:

i) definisce “home restaurant” come “attività occasionale” (art. 2, comma 1, lettera a);

ii) prevede che tale attività sia svolta “per il tramite di piattaforme digitali”, gestite da un Gestore, che mette in contatto l’Utente Cuoco, che materialmente svolge l’attività di ristorazione, e l’Utente fruitore, che utilizza il servizio (art. 2, comma 1);

iii) impone che le transazioni avvengano “mediante le piattaforme digitali” ed “esclusivamente attraverso sistemi di pagamento elettronico” (art. 3, commi 3);

iv) attribuisce al Gestore una serie di obblighi di verifica sugli operatori anche “ai fini dell’iscrizione alla piattaforma digitale” (relativamente all’avvenuta stipula da parte degli Utenti Cuochi di polizze assicurative per la copertura dei rischi derivanti dall’attività e per la responsabilità civile verso terzi collegata all’unità immobiliare in cui si svolge l’attività, nonché sul possesso dei requisiti da parte dell’Utente Cuoco di cui alla presente legge per svolgere l’attività in esame) e di informativa alla clientela (circa il servizio offerto, le coperture assicurative stipulate, “esplicitando che trattasi di un’attività non professionale di ristorazione”); tali obblighi sono funzionali a garantire i successivi controlli da parte dei soggetti competenti, secondo le modalità che saranno definite con Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze (art. 3, commi, da 6 a 10);

v) esenta gli Utenti cuochi dall’obbligo di stipulare le coperture assicurative e il Gestore da quello di indicare al Comune le unità immobiliari in cui si svolge l’attività, per gli eventi enogastronomici c.d. di social eating, organizzati per non più di cinque volte nell’anno solare e per un massimo di 50 coperti complessivi (art. 4 comma 2);

vi) oltre ad aver definito ope legis l’attività in esame come attività a carattere occasionale (art. 2), stabilisce che essa “non può superare il limite di 500 coperti per anno solare né generare proventi superiori a 5.000 euro annui” (art. 4, comma 4);

vii) vieta di svolgere l’attività in questione nelle stesse unità immobiliari ad uso abitativo in cui sono esercitate attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale o attività di locazione per periodi di durata inferiore a trenta giorni (art. 5, comma 3).

In proposito, l’Autorità intende svolgere le seguenti considerazioni.

Il legislatore intende introdurre nell’ordinamento giuridico italiano una disciplina dell’attività di ristorazione in abitazione privata (home restaurant), la quale, nell’ambito dei servizi partecipati che compongono la sharing economy, risulta essere in forte espansione anche nel nostro Paese, per la forte propensione, soprattutto delle nuove generazioni, ad aprire la propria casa e a condividere la cultura enogastronomica nostrana.

La Commissione europea ha invitato gli Stati membri a favorire lo sviluppo della c.d. sharing economy o economia della condivisione, capace di creare nuove opportunità sia per i consumatori, che possono beneficiare di un ampliamento dell’offerta di servizi e di prezzi inferiori, sia per i nuovi operatori, agevolati da forme di lavoro flessibile e da nuove fonti di reddito.

Nel contempo, proprio nell’ottica di favorirne lo sviluppo, la Commissione ha ricordato che restrizioni in termini di accesso al mercato possono essere previste, secondo il diritto europeo, soltanto se sono non discriminatorie, giustificate da un ben individuato «motivo imperativo d’interesse generale», ai sensi dell’art. 4, punto 8, della Direttiva Servizi (Direttiva 2006/123/CE), proporzionate e necessarie.

Inoltre, la regolamentazione delle attività svolte nel quadro dell’economia collaborativa, nel tener conto delle specificità del servizio innovativo offerto, non deve “privilegiare un modello di impresa a scapito di altri”

Anche in occasione dell’audizione informale dinanzi alle Commissioni IX e X della Camera dei Deputati sulla disciplina delle piattaforme digitali, l’Autorità ha ribadito che, “nel caso un intervento [normativo o regolamentare, n.d.r.] sia necessario, occorre che si tratti di una regolazione minima e adeguatamente giustificata da motivi di interesse generale, nel rispetto dei principi di non discriminazione e proporzionalità.

Sarebbe, pertanto, opportuno inserire nella proposta di legge in esame questo principio, analogamente a quanto fatto in passato con il D.Lgs. n. 59/2010, attuativo della Direttiva 2006/123/CE”.

In questo quadro, l’Autorità ritiene che il DDL A.S. n. 2647 introduce limitazioni all’esercizio dell’attività di home restaurant che non appaiono giustificate.

Configurando l’utilizzo delle piattaforme digitali come unica modalità per lo svolgimento dell’attività di home restaurant, il DDL in questione esclude ogni possibilità di rapporto diretto tra l’Utente cuoco e l’Utente fruitore al di fuori di tali piattaforme.

Dal lato della domanda, ciò riduce l’offerta dei servizi di ristorazione per i clienti meno avvezzi all’uso di sistemi digitali/elettronici di acquisto; dal punto di vista dell’offerta, crea una discriminazione con i ristoratori tradizionali, che, oltre a poter promuovere la propria attività e ricevere prenotazioni mediante siti internet, mantengono la possibilità di avere un contatto diretto con la clientela.

Analoghe considerazioni valgono rispetto all’obbligo di fatto imposto di pagare la prestazione prima di averne beneficiato, nella misura in cui si prevede all’art. 3, comma 3, che le transazioni avvengano esclusivamente mediante le piattaforme digitali.

Tale previsione, inoltre, impedisce o rende più oneroso per il cliente di avvalersi, ad esempio, della possibilità di disdire sul posto un servizio rivelatosi inadeguato e all’operatore di farsi interamente carico del rischio del c.d. no show.

L’Autorità, poi, non riviene alcun legame tra le misure imposte e i caratteri di necessarietà e proporzionalità delle stesse nella qualificazione dell’attività in termini di sola occasionalità.

In tal modo, l’operatore viene privato della libertà di definire autonomamente come e in che misura organizzare la propria attività economica, considerato, peraltro, che già per l’attività di social eating (per frequenza di eventi organizzati e numero massimo di coperti che sono astrattamente definiti dal legislatore, in maniera lineare, a prescindere dalla diversa capienza delle abitazioni private utilizzate o dal profilo dell’Utente cuoco) è previsto un regime di obblighi “attenuato”.

Del tutto ingiustificata appare la conseguente quantificazione normativa del numero massimo di coperti che possono essere allestiti e del reddito annuo che l’attività in esame può generare.

Tali previsioni si pongono piuttosto in palese contrasto, oltre che con i principi di liberalizzazione previsti dal D.Lgs. n. 59/2010, che recepisce la Direttiva Servizi, e dai successivi decreti di liberalizzazione, anche con il dettato costituzionale di libera iniziativa economica e di tutela della concorrenza.

Queste stesse perplessità sono state espresse dalla I Commissione (Affari Costituzionali) della Camera, che, nel rendere parere favorevole risetto al disegno di legge in questione, ha nondimeno formulato alcune osservazioni, tra cui quella di “valutare, alla luce dell’art. 41 Cost. in materia di libera iniziativa economica, la disposizione secondo cui l’attività di home restaurant non può generare proventi superiori a 5.000 euro annui”.

Infine, appare ugualmente priva di motivazioni e ingiustificatamente restrittiva l’esclusione delle attività di B&B e Case Vacanza in forma non imprenditoriale e della locazione dalla possibilità di ampliare l’offerta di servizi extralberghieri con quella del servizio di home restaurant.

L’insieme dei vincoli e delle limitazioni all’attività di home restaurant sopra descritto si pone, dunque, fuori dal quadro tracciato dai principi europei della concorrenza e dal citato documento della Commissione sulla sharing economy.

Nessuna delle misure previste, risulta necessaria e proporzionata per perseguire gli obiettivi dichiarati dall’art. 1 del DDL A.S. n. 2647, che sono già tutelati da altre normative. In particolare, eventuali obiettivi di tutela della salute dei fruitori sono comunque sufficientemente garantiti dall’obbligo di rispettare le norme sull’igiene degli alimenti (richiamate all’art. 4, comma 6) e dagli obblighi di copertura assicurativa (art. 3, comma 6).

In conclusione, il DDL che disciplina l’attività di home restaurant appare nel suo complesso idoneo a limitare indebitamente una modalità emergente di offerta alternativa del servizio di ristorazione e, nella misura in cui prevede obblighi che normalmente non sono posti a carico degli operatori tradizionali, risulta discriminare gli operatori di home restaurant, a favore dei primi, senza rispettare il test di proporzionalità, necessarietà delle misure restrittive rispetto al perseguimento di specifici obiettivi imperativi di interesse generale, come invece richiesto a livello europeo.

L’Autorità auspica che, al fine di superare i profili discriminatori e restrittivi sopra evidenziati, i rilievi sopra svolti siano tenuti in adeguata considerazione in occasione del prosieguo dell’iter legislativo sul DDL in questione nonché in occasione dell’emanazione del Decreto ministeriale che dovrà definire le modalità di controllo dell’attività degli operatori. Il presente parere sarà pubblicato sul Bollettino dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato”.

Fonte: Bollettino settimanale AGCM Anno XXVII, n. 13, del 10 aprile 2017.

 

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