[:it]A cura dell’Avv. Massimo Simbula
Premessa
E’ l’11 maggio 2017.
E stavolta tocca all’Avvocato Generale della Corte di Giustizia Europea, Mr. Maciez Szpunar, dire cose che non credo saranno molto gradite al headquarter di Uber Technologies Inc.. (qui è disponibile il video dell’udienza)
Il contesto stavolta è una causa iniziata in Spagna tra l’Asociación Profesional Elite Taxi (un’organizzazione professionale che raggruppa i tassisti della città di Barcellona) e la Uber Systems Spain SL, controllata dall’omonimo colosso californiano.
La lite tra l’associazione di tassisti spagnola e Uber nasce dalla solita questione (diffusa in mezzo mondo) relativa alle licenze/autorizzazioni non possedute da UberPop per svolgere il servizio di trasporto urbano di persone, ed era giunta al Tribunale Commerciale n. 3 di Barcellona che, con domanda pregiudiziale, ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia Europea aprendo così il procedimento C-434/15.
In estrema sintesi Mr. Szpunar ha stabilito, dopo una approfondita analisi legale, che UberPop NON è un servizio rientrante nella cosiddetta “società dell’informazione” e non può quindi usufruire dei diritti generalmente applicabili a questa categoria di soggetti. Può essere invece richiesto ad UberPop l’ottenimento delle necessarie licenze e autorizzazioni per poter proporre il servizio di trasporto.
L’avvocato generale, precisa in particolare che la prestazione di messa in contatto del passeggero con il conducente, fornita per via elettronica, non è né autonoma né principale rispetto alla prestazione di trasporto. Il servizio offerto da UberPop non potrebbe pertanto essere qualificato come «servizio della società dell’informazione». Si tratta piuttosto dell’organizzazione e della gestione di un sistema completo di trasporto urbano a richiesta. Peraltro, UberPop non offre un servizio di car-pooling, in quanto la destinazione è scelta dai passeggeri e i conducenti percepiscono un corrispettivo che supera ampiamente il semplice rimborso delle spese sostenute.
La posizione dell’avvocato generale è decisamente pesante sia perchè estremamente autorevole, articolata ed equilibrata e sia perchè rileva molteplici criticità che potrebbero impattare sull’attuale modello di business di UberPop.
E’ bene però precisare però che le conclusioni dell’avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia.
Il compito dell’avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato.
I giudici della Corte cominciano adesso a deliberare in questa causa. La sentenza sarà pronunciata in una data successiva per cui non è ancora dato sapere se la posizione dell’avvocato generale sfoci effettivamente in una condanna nei confronti di Uber.
Il rinvio pregiudiziale (come nel caso di specie) consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile .
Insomma: la pronuncia della Corte in linea con la posizione dell’avvocato generale, potrebbe essere veramente un brutto colpo per il colosso californiano (quantomeno per le sue attività europee sulle quali sarebbe interessante capire quanto incidano sul fatturato annuo del gruppo societario).
Inoltre è bene chiarire che non è in alcun modo in discussione in questo procedimento, il blocco o l’inutilizzabilità della applicazione Uber sugli smartphone.
Un provvedimento o un’altra misura in tal senso non sono stati chiesti. Nel procedimento principale si discute soltanto della possibilità, per Uber technologies Inc. (anche per mezzo delle sue controllate olandesi e spagnole), di fornire, attraverso l’applicazione di cui trattasi, il servizio UberPop nella città di Barcellona.
Una analisi della questione svolta dall’avvocato generale.
Benché lo sviluppo di nuove tecnologie sfoci, in generale, in controversie, Uber risulta essere un caso a parte. Le sue modalità di funzionamento suscitano critiche e interrogativi, ma anche speranze e nuove aspettative. Per citare soltanto le questioni di carattere giuridico, le modalità di funzionamento di Uber hanno sollevato taluni interrogativi sotto il profilo, in particolare, del diritto della concorrenza, della tutela dei consumatori e del diritto del lavoro. Dal punto di vista economico e sociale, è stato persino coniato il termine «uberizzazione». Con la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame viene quindi sottoposta alla Corte una problematica di grande rilevanza politica e mediatica.
L’oggetto della causa è tuttavia molto più limitato. L’interpretazione chiesta alla Corte mira unicamente a dare a Uber una collocazione nel contesto del diritto dell’Unione al fine di stabilire se, e in che misura, il funzionamento rientri nell’ambito di applicazione di tale direttiva.
Si tratta quindi principalmente di chiarire se un’eventuale disciplina delle condizioni di funzionamento di Uber sia soggetta agli obblighi di diritto dell’Unione, in primo luogo, in materia di libera prestazione dei servizi, o se essa ricada nella competenza, condivisa, dell’Unione europea e degli Stati membri nell’ambito dei trasporti locali che non è stata ancora esercitata a livello di Unione.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
L’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34/CE così recita: «Ai sensi della presente direttiva si intende per: (…) “servizio”: qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi.
Ai fini della presente definizione si intende:
– “a distanza”: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti;
– “per via elettronica”: un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (compresa la compressione digitale) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici;
– “richiesta individuale di un destinatario di servizi”: un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale.
L’articolo 2, lettere a) e h), della direttiva 2000/31/CE stabilisce quanto segue: «Ai fini della presente direttiva valgono le seguenti definizioni:
a) “servizi della società dell’informazione”: i servizi ai sensi dell’articolo 1, punto 2, della [direttiva 98/34];
(…)
h) “ambito regolamentato”: le prescrizioni degli ordinamenti degli Stati membri e applicabili ai prestatori di servizi della società dell’informazione o ai servizi della società dell’informazione, indipendentemente dal fatto che siano di carattere generale o loro specificamente destinat[e].
i) [L]’ambito regolamentato riguarda le prescrizioni che il prestatore deve soddisfare per quanto concerne:
– l’accesso all’attività di servizi della società dell’informazione, quali ad esempio le prescrizioni riguardanti le qualifiche e i regimi di autorizzazione o notifica;
– l’esercizio dell’attività di servizi della società dell’informazione, quali ad esempio le prescrizioni riguardanti il comportamento del prestatore, la qualità o i contenuti del servizio, comprese le prescrizioni applicabili alla pubblicità e ai contratti, oppure la responsabilità del prestatore;
ii) l’ambito regolamentato non comprende le norme su:
(…)
– i servizi non prestati per via elettronica».
L’articolo 3, paragrafi 1, 2 e 4, della direttiva 2000/31 così dispone:
«1. Ogni Stato membro provvede affinché i servizi della società dell’informazione, forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio, rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto Stato membro nell’ambito regolamentato.
2. Gli Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera circolazione dei servizi [della] società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro.
(…)
4. Gli Stati membri possono adottare provvedimenti in deroga al paragrafo 2, per quanto concerne un determinato servizio della società dell’informazione, in presenza delle seguenti condizioni:
a) i provvedimenti [devono essere]:
i) necessari per una delle seguenti ragioni:
– ordine pubblico, in particolare per l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento in materie penali, quali la tutela dei minori e la lotta contro l’incitamento all’odio razziale, sessuale, religioso o etnico, nonché [contro le] violazioni della dignità umana della persona;
– tutela della sanità pubblica;
– pubblica sicurezza, compresa la salvaguardia della sicurezza e della difesa nazionale;
– tutela dei consumatori, ivi compresi gli investitori;
ii) relativi a un determinato servizio della società dell’informazione lesivo degli obiettivi di cui al punto i) o che costituisca un rischio serio e grave di pregiudizio a tali obiettivi;
iii) proporzionati a tali obiettivi;
b) prima di adottare i provvedimenti in questione e fatti salvi i procedimenti giudiziari, anche istruttori, e gli atti compiuti nell’ambito di un’indagine penale, lo Stato membro ha:
– chiesto allo Stato membro di cui al paragrafo 1 di prendere provvedimenti e questo non li ha presi o essi non erano adeguati;
– notificato alla Commissione e allo Stato membro di cui al paragrafo 1 la sua intenzione di prendere tali provvedimenti.
(…)».
L’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2006/123/CE ha il seguente tenore: «La presente direttiva non si applica alle attività seguenti:
(…)
d) i servizi nel settore dei trasporti, ivi compresi i servizi portuali, che rientrano nell’ambito di applicazione del titolo V del trattato CE;
(…)».
L’articolo 3, paragrafo 1, primo periodo, della suddetta direttiva così dispone: «Se disposizioni della presente direttiva confliggono con disposizioni di altri atti comunitari che disciplinano aspetti specifici dell’accesso ad un’attività di servizi o del suo esercizio in settori specifici o per professioni specifiche, le disposizioni di questi altri atti comunitari prevalgono e si applicano a tali settori o professioni specifiche (…)».
Il diritto spagnolo
Secondo l’avvocato generale, “La descrizione fornita dal giudice del rinvio, dalle parti del procedimento principale e dal governo spagnolo del contesto normativo nazionale pertinente appare in un certo qual modo confusa”.
Egli quindi procede nel descrivere i tratti essenziali, come risultano sia dall’ordinanza di rinvio che dalle diverse osservazioni scritte presentate nel corso del procedimento.
In primo luogo, per quanto attiene alla disciplina dei trasporti a livello nazionale, in applicazione dell’articolo 99, paragrafo 1, della Ley 16/1987 de Ordenación de los Transportes Terrestres (legge n. 16/1987 sull’organizzazione dei trasporti terrestri), del 30 luglio 1987, sia l’attività di trasporto di cui trattasi che quella di intermediazione diretta alla conclusione dei relativi contratti presuppongono un’autorizzazione al trasporto pubblico di passeggeri. Tuttavia, la convenuta nel procedimento principale osserva che la Ley 9/2013 por la que se modifica la Ley 16/1987 y la Ley 21/2003, de 7 de julio, de Seguridad Aérea (legge n. 9/2013 di modifica della legge n. 16/1987 e della legge n. 21/2003 del 7 luglio 2003 sulla sicurezza aerea), del 4 luglio 2013, ha soppresso l’obbligo di disporre di una licenza specifica per fornire servizi di intermediazione di trasporto passeggeri. Non è tuttavia certo se la riforma di cui trattasi sia stata attuata in tutte le regioni spagnole.
A livello regionale e locale, la normativa nazionale è integrata, per quanto attiene ai servizi di taxi, da varie disposizioni adottate dalla comunità autonoma della Catalogna e dall’agglomerato urbano di Barcellona, tra cui il Reglamento Metropolitano del Taxi (regolamento sui servizi di taxi dell’agglomerato urbano di Barcellona), adottato dal Consell Metropolitá de l’Entitat Metropolitana de Transport de Barcelona (consiglio direttivo dell’organismo di gestione dei trasporti dell’agglomerato urbano di Barcellona), del 22 luglio 2004, che impone alle piattaforme come quella in esame nel procedimento principale di disporre, ai fini dell’esercizio dell’attività, delle licenze e delle autorizzazioni amministrative necessarie.
Infine, la Ley 3/1991 de Competencia Desleal (legge 3/1991 sulla concorrenza sleale), del 10 gennaio 1991, definisce come concorrenza sleale, al suo articolo 4, la condotta professionale contraria alle regole di buona fede, al suo articolo 5, le pratiche ingannevoli e, al suo articolo 15, la violazione delle norme in materia di attività concorrenziale idonea a conferire un vantaggio concorrenziale sul mercato.
Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali
L’applicazione Uber
Uber è il nome di una piattaforma elettronica sviluppata dalla Uber Technologies Inc., una società con sede a San Francisco (Stati Uniti). Nell’Unione europea, la piattaforma Uber è gestita dalla Uber BV, una società di diritto olandese, controllata dalla Uber Technologies.
Tale piattaforma permette, con l’ausilio di uno smartphone munito dell’applicazione Uber, di richiedere una prestazione di trasporto urbano nelle città in cui la stessa è presente. L’applicazione riconosce la posizione dell’utente e trova i conducenti nelle sue vicinanze. Se un conducente accetta la corsa, l’applicazione ne informa l’utente, mostrandogli il profilo del conducente e una stima del prezzo per la tratta sino alla destinazione da lui indicata. Al termine della corsa, il relativo prezzo è automaticamente prelevato dalla carta di credito che l’utente è tenuto a indicare al momento della sottoscrizione dell’applicazione. L’applicazione contiene anche un meccanismo di valutazione: i conducenti e i passeggeri possono fornire una valutazione reciproca. Punteggi medi inferiori a una certa soglia possono comportare l’esclusione dalla piattaforma.
I servizi di trasporto proposti sulla piattaforma Uber si suddividono in diverse categorie in funzione della qualità del conducente e della tipologia di veicolo. In base alle informazioni fornite da Uber nel procedimento principale, oggetto del procedimento principale è il servizio denominato UberPop, nell’ambito del quale il servizio di trasporto passeggeri è erogato da singoli conducenti non professionisti con i propri autoveicoli.
La tariffa è determinata dal gestore della piattaforma sulla base della distanza e della durata del tragitto. Essa varia in funzione della domanda in un determinato momento con la conseguenza che il prezzo del tragitto può, in periodi di forte affluenza, superare più volte la tariffa di base. Il prezzo della corsa è calcolato dall’applicazione e viene automaticamente prelevato dal gestore della piattaforma che ne trattiene una parte a titolo di commissione, di norma compresa tra il 20 e il 25%, e versa il resto al conducente.
La controversia principale
L’Asociación Profesional Elite Taxi (in prosieguo: l’«Elite Taxi») è un’organizzazione professionale che raggruppa i conducenti di taxi della città di Barcellona (Spagna). Il 29 ottobre 2014 essa ha presentato ricorso dinanzi allo Juzgado de lo Mercantil n. 3 de Barcelona (tribunale commerciale n. 3 di Barcellona, Spagna) chiedendo in particolare di condannare la Uber Systems Spain SL (in prosieguo: la «Uber Spain»), società di diritto spagnolo, di accertare che le sue attività – che violerebbero la normativa vigente e costituirebbero pratiche ingannevoli – integrano atti di concorrenza sleale, di intimarle di cessare la sua condotta sleale, consistente nel fornire assistenza alle altre società del gruppo attraverso servizi di prenotazione su richiesta mediante apparecchi mobili e Internet a condizione che ciò sia direttamente o indirettamente collegato all’utilizzo della piattaforma numerica Uber in Spagna, e di inibire, pro futuro, l’esercizio dell’attività di cui trattasi. Infatti, in conformità con le constatazioni del giudice del rinvio, né la Uber Spain, né i proprietari o i conducenti dei veicoli interessati dispongono delle licenze e delle autorizzazioni previste dal regolamento sui servizi di taxi dell’agglomerato urbano di Barcellona.
La Uber Spain nega di aver commesso una qualsiasi violazione della disciplina in materia di trasporti. Infatti, a suo avviso, è la società di diritto olandese Uber BV a gestire l’applicazione Uber sul territorio dell’Unione, compresa la Spagna: gli addebiti sollevati dalla ricorrente dovrebbero pertanto essere rivolti nei confronti della suddetta società. La Uber Spain si limiterebbe a svolgere attività di promozione per conto della Uber BV. La Uber Spain ha ribadito tali affermazioni nelle osservazioni presentate nell’ambito della presente causa.
Trattandosi di una circostanza di fatto, spetta al giudice del rinvio stabilire quale delle due succitate società debba essere destinataria di un eventuale provvedimento.
L’avvocato generale parte quindi dall’assunto che l’applicazione Uber sia gestita all’interno dell’Unione dalla società Uber BV. La sua analisi si fonda quindi sulla suddetta premessa, non priva di conseguenze dal punto di vista del diritto dell’Unione. Nelle presenti conclusioni si utilizza il termine «Uber» per indicare sia la piattaforma elettronica di prenotazione che il suo gestore.
Come detto sopra, l’avvocato generale precisa che non è in alcun modo in discussione in questo procedimento, il blocco o l’inutilizzabilità della applicazione Uber sugli smartphone. Un provvedimento o un’altra misura in tal senso non sono stati chiesti. Nel procedimento principale si discute soltanto della possibilità, per Uber, di fornire, attraverso l’applicazione di cui trattasi, il servizio UberPop nella città di Barcellona.
Questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte
Visto che la definizione della controversia dinanzi ad esso pendente richiedeva l’interpretazione di varie disposizioni del diritto dell’Unione, lo Juzgado Mercantil n. 3 de Barcelona (tribunale commerciale n. 3 di Barcellona) ha deciso di sospendere la decisione e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Atteso che l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della [direttiva 2006/123] esclude le attività di trasporto dall’ambito di applicazione di tale direttiva, se l’attività di intermediazione tra il proprietario di un veicolo e la persona che deve effettuare spostamenti all’interno di una città, attività che la convenuta svolge con fini di lucro e attraverso la gestione di mezzi informatici – interfaccia e applicazione di programmi informatici (“smartphone e piattaforme tecnologiche”, usando i termini della convenuta) – che consentono a tali persone di mettersi in contatto, debba essere considerata una mera attività di trasporto, un servizio elettronico di intermediazione o un servizio della società dell’informazione ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della [direttiva 98/34].
2) Con riguardo alla determinazione della natura giuridica di tale attività [,] se essa possa essere parzialmente considerata (omissis) un servizio della società dell’informazione e, in caso affermativo, se il servizio elettronico di intermediazione debba beneficiare del principio di libera prestazione dei servizi garantito dal diritto dell’Unione, in particolare dall’articolo 56 TFUE e dalle direttive [2006/123] e [2000/31/CE].
3) Qualora si ritenesse che il servizio prestato dalla [Uber Spain] non sia un servizio di trasporto e rientri quindi nelle ipotesi contemplate dalla direttiva 2006/123, se il contenuto dell’articolo 15 della legge sulla concorrenza sleale – relativo alla violazione delle norme che disciplinano l’attività concorrenziale – sia contrario alla direttiva 2006/123, in particolare al suo articolo 9 relativo alla libertà di stabilimento e ai regimi di autorizzazione, laddove rinvia a leggi o a norme giuridiche interne senza tenere conto del fatto che il regime per il rilascio delle licenze, delle autorizzazioni o dei permessi non può essere in alcun modo restrittivo o sproporzionato, ossia non può ostacolare in maniera irragionevole il principio della libertà di stabilimento.
4) Per il caso in cui si confermasse che la direttiva [2000/31] è applicabile al servizio prestato dalla [Uber Spain], se le restrizioni imposte da uno Stato membro alla libera prestazione di un servizio elettronico di intermediazione proveniente da un altro Stato membro, vuoi subordinando la prestazione del servizio al rilascio di un’autorizzazione o di una licenza, vuoi sotto forma di un provvedimento giudiziale di cessazione della prestazione del servizio elettronico di intermediazione pronunciato sul fondamento della normativa nazionale in materia di concorrenza sleale, costituiscano misure valide in deroga all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva [2000/31] ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, di tale direttiva».
La domanda di pronuncia pregiudiziale è pervenuta alla Corte il 7 agosto 2015. Hanno presentato osservazioni scritte le parti del procedimento principale, i governi spagnolo, finlandese, francese e ellenico, l’Irlanda, il governo dei Paesi Bassi e il governo polacco, la Commissione europea e l’Autorità di vigilanza dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA). Gli stessi interessati, ad eccezione del governo ellenico e del governo estone, hanno presenziato all’udienza tenutasi il 29 novembre 2016.
Analisi
Il giudice del rinvio solleva quattro questioni pregiudiziali: le prime due vertono sulla qualificazione dell’attività di Uber tenuto conto delle direttive 2000/31 e 2006/123 e del Trattato FUE, mentre le altre due riguardano le conseguenze che è necessario trarre, se del caso, da detta qualificazione.
Sulla qualificazione dell’attività di Uber
Con le sue due prime questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio chiede essenzialmente se l’attività di Uber rientri nel campo di applicazione delle direttive 2006/123 e 2000/31 e delle disposizioni del Trattato FUE in materia di libera prestazione dei servizi.
Per rispondere alle suddette questioni occorrerà analizzare, in primo luogo, l’attività di cui trattasi alla luce del sistema organizzato dalla direttiva 2000/31 e della definizione di «servizio della società dell’informazione» contenuta nell’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34, cui rinvia l’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31.
In secondo luogo, si dovrà stabilire se tale attività integri un servizio in materia di trasporti o nel settore dei trasporti ai sensi dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2006/123. Infatti, la libera circolazione dei servizi in materia di trasporti è realizzata nel quadro della politica comune dei trasporti e tali servizi sono, per tale ragione, esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva 2006/123 in forza della succitata disposizione.
L’attività di Uber alla luce della direttiva 2000/31
Al fine di valutare se l’attività di Uber ricada nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/31, occorre fare riferimento alla definizione di servizi della società dell’informazione contenuta nell’articolo 2, lettera a), della direttiva di cui trattasi. Detta definizione rinvia all’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34.
In base a quest’ultima disposizione, un servizio della società dell’informazione è un servizio prestato dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario. I criteri del carattere oneroso del servizio e della prestazione a richiesta individuale non sembrano sollevare problemi. Così non è invece per la prestazione a distanza per via elettronica.
Come già osservato brevemente nella parte dedicata alle circostanze di fatto del procedimento principale, Uber permette, essenzialmente, attraverso un’applicazione per smartphone, di reperire un conducente e di metterlo in contatto con il potenziale passeggero al fine di realizzare una prestazione di trasporto urbano a richiesta. Si tratta quindi di un servizio misto, posto che una parte del servizio di cui trattasi avviene per via elettronica e l’altra, per definizione, no. Si tratta di stabilire se un servizio siffatto rientri nella direttiva 2000/31.
– I servizi misti nella direttiva 2000/31
La direttiva 2000/31 mira a garantire efficacia alla libera prestazione dei servizi della società dell’informazione. Tali servizi sono ivi definiti, nell’articolo 2, lettera a), mediante rinvio all’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34. In base alla disposizione da ultimo citata, tale servizio è in particolare «interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici».
Determinate prestazioni implicano ovviamente elementi che non sono trasmessi per via elettronica in quanto non possono essere dematerializzati. La vendita online di beni materiali ne rappresenta un ottimo esempio, posto che essa rientra necessariamente, a norma del considerando 18 nella direttiva 2000/31, tra i servizi della società dell’informazione. La direttiva 2000/31 precisa peraltro che l’ambito regolamentato, vale a dire l’insieme delle norme di diritto applicabili a un servizio della società dell’informazione e in ragione del quale gli Stati membri non possono, in linea di principio, limitare l’attività dei prestatori stabiliti in altri Stati membri, non comprende le prescrizioni sui servizi non prestati per via elettronica. Nei limiti eventualmente posti da altre disposizioni di diritto dell’Unione, gli Stati membri possono pertanto limitare la libertà dei prestatori con regole riguardanti i servizi forniti con modalità diverse.
Tuttavia, affinché la direttiva 2000/31 possa conseguire il suo obiettivo di liberalizzare i servizi della società dell’informazione, una liberalizzazione circoscritta alla sola componente elettronica deve realmente incidere sulla possibilità di esercitare l’attività. Per tale ragione, il legislatore si è concentrato sui servizi che, in linea di principio, sono interamente trasmessi per via elettronica, posto che le prestazioni eventualmente erogate con modalità diverse ne costituiscono soltanto un elemento accessorio. Sarebbe in effetti inutile limitarsi a liberalizzare una parte secondaria di una prestazione complessa se tale prestazione non potesse essere liberamente erogata in ragione di una disciplina sottratta all’ambito di applicazione delle disposizioni della direttiva 2000/31. Una siffatta apparente liberalizzazione non solo non conseguirebbe gli obiettivi da essa perseguiti, ma avrebbe anche conseguenze oltremodo negative creando una situazione di incertezza del diritto e provocando una perdita di fiducia nella legislazione dell’Unione.
Per tale ragione, un’interpretazione della nozione di servizi della società dell’informazione che faccia rientrare nel suo ambito di applicazione attività online che non hanno valore economico autonomo sarebbe inefficace ai fini della realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 2000/31.
Nel caso dei servizi misti, vale a dire dei servizi composti di componenti elettroniche e di componenti non elettroniche, un servizio può essere considerato come interamente trasmesso per via elettronica, in primis, quando la prestazione che non è erogata per via elettronica è economicamente indipendente dal servizio fornito secondo tali modalità.
Tale ipotesi ricorre, in particolare, nel caso di un intermediario che agevola le transazioni commerciali tra un utente e un prestatore di servizi (o un venditore) indipendente. Le piattaforme di acquisto di biglietti aerei o di prenotazione di alberghi ne sono un esempio. In un tal caso, la prestazione dell’intermediario rappresenta un valore aggiunto reale sia per l’utente che per l’imprenditore interessato, ma resta economicamente autonoma dal momento che l’imprenditore svolge la sua attività in modo indipendente.
Per contro, quando il prestatore del servizio erogato per via elettronica è anche il prestatore del servizio fornito con modalità diverse o quando egli esercita un’influenza decisiva sulle condizioni di erogazione del servizio di cui trattasi, con la conseguenza che i due servizi rappresentano un insieme inscindibile, occorre, ad avviso dell’avvocato generale, individuare l’elemento principale della prestazione considerata, vale a dire quello che le attribuisce il suo significato economico. La qualificazione come servizio della società dell’informazione implica che detto elemento principale sia erogato per via elettronica.
Ciò accade, ad esempio, nel caso della vendita di beni online. Nell’ambito di tale vendita, gli elementi essenziali della transazione, vale a dire la presentazione dell’offerta e la sua accettazione da parte dell’acquirente, la conclusione del contratto e, molto di frequente, il pagamento, sono compiuti per via elettronica e rientrano nella nozione di servizio della società dell’informazione. La Corte si è espressa in tal senso nella sua sentenza Ker‑Optika. La fornitura del bene acquistato costituisce soltanto l’esecuzione di un’obbligazione contrattuale cosicché la disciplina cui essa è assoggettata non influenza, in linea di principio, la fornitura del servizio principale.
Non si ritiene tuttavia che la direttiva 2000/31 debba essere interpretata nel senso che qualsiasi attività online collegata ad operazioni commerciali, seppur soltanto accessoria, secondaria o preparatoria ed economicamente non indipendente, costituisca un servizio della società dell’informazione.
Esaminerò ora l’attività di Uber alla luce delle considerazioni che precedono.
– L’attività di Uber
L’esito della suddetta analisi dipenderà, in ampia misura, dalla circostanza se l’attività di Uber debba essere considerata come un insieme costituito, da una parte, dalla messa in contatto di passeggeri con conducenti attraverso la piattaforma elettronica e, dall’altra, dalla prestazione di trasporto propriamente detta, o se le due suddette prestazioni debbano essere considerate come due servizi distinti. Affronterò anzitutto questo aspetto.
Per quanto attiene alla qualificazione di un’attività alla luce delle disposizioni giuridiche pertinenti si rende necessario formulare alcune ipotesi di natura fattuale. Posto che gli elementi fattuali forniti dal giudice del rinvio appaiono incompleti e il servizio di cui trattasi in Spagna è stato sospeso in applicazione di provvedimenti giudiziari, l’analisi si fonderà sulle informazioni disponibili sulle modalità di funzionamento di Uber in altri paesi.
Tali modalità di funzionamento sono sostanzialmente simili. Spetterà, in ogni caso, al giudice del rinvio compiere le valutazioni di fatto definitive.
Cos’è Uber? È un’impresa di trasporti o, per essere più chiari, di taxi? O si tratta soltanto di una piattaforma elettronica che permette di trovare, prenotare e pagare un servizio di trasporto erogato da altri?
Si tende comunemente a classificare Uber come impresa (o piattaforma) dell’economia detta «collaborativa». Mi sembra inutile discutere in tale sede dell’esatto significato del suddetto termine. Quel che rileva in relazione a Uber è che essa non può essere considerata una piattaforma di car-pooling. Nell’ambito della piattaforma in esame, infatti, i conducenti offrono ai passeggeri un servizio di trasporto verso una destinazione scelta dall’utente e percepiscono, per tale ragione, a titolo di corrispettivo, un importo che supera ampiamente il semplice rimborso delle spese sostenute. Si tratta quindi di un classico servizio di trasporto. Ai fini della sua qualificazione in base al diritto vigente è irrilevante che esso rientri o meno in un’«economia collaborativa».
Nelle sue osservazioni scritte Uber afferma di collegare unicamente l’offerta (di trasporto urbano) alla domanda. Si ritiene però si tratti di una visione riduttiva del suo ruolo. Uber non si limita infatti a mettere in relazione offerta e domanda, ma crea, essa stessa, l’offerta, oltre a disciplinarne le caratteristiche essenziali e organizzarne il funzionamento.
Uber permette a coloro che intendono avviare un’attività di trasporto urbano di passeggeri di collegarsi alla sua applicazione e di svolgere tale attività secondo le condizioni da essa imposte, vincolanti per i conducenti in ragione del contratto di utilizzo dell’applicazione. Si tratta di condizioni molteplici che riguardano sia l’accesso all’attività che il suo svolgimento nonché il comportamento del conducente nell’erogare le prestazioni.
Per accedere all’applicazione Uber come conducente è quindi necessario disporre di un veicolo. I veicoli ammessi a circolare per conto di Uber devono soddisfare condizioni che, a quanto pare, variano in base agli Stati e alle città, ma si tratta, in generale, di autovetture a quattro o cinque porte, soggette, quantomeno, a limiti di età. I veicoli devono essere stati sottoposti a regolari controlli tecnici e rispettare le disposizioni in materia di assicurazione obbligatoria.
I conducenti devono ovviamente essere in possesso di una patente di guida (da un determinato numero di anni) e non avere precedenti penali. In alcuni Stati è anche richiesta la presentazione di un elenco delle infrazioni al codice della strada.
Benché nel contesto della piattaforma Uber non sia disciplinato l’orario di lavoro, cosicché i conducenti possono esercitare l’attività di cui trattasi come attività secondaria, la maggior parte delle corse risulta realizzata da conducenti per i quali essa rappresenta l’unica o la principale attività professionale. Uber riconosce inoltre un compenso finanziario ai conducenti che effettuano un numero considerevole di corse. Essa indica ai conducenti anche i luoghi e i periodi nei quali possono contare su un numero considerevole di corse e/o su tariffe vantaggiose. Senza vincolarli formalmente, Uber è così in grado di adottare la sua offerta alle variazioni della domanda.
L’applicazione Uber contiene anche un sistema di valutazione: i passeggeri possono valutare i conducenti e viceversa. Un punteggio medio inferiore a una determinata soglia può comportare l’esclusione dalla piattaforma, in particolare, dei conducenti. Uber esercita pertanto un controllo, seppur indiretto, sulla qualità delle prestazioni dei conducenti.
È infine Uber a stabilire il prezzo del servizio erogato. Tale prezzo è calcolato in funzione della distanza e della durata del tragitto, come registrate dall’applicazione grazie alla geolocalizzazione. Un algoritmo rettifica poi il prezzo in funzione dell’intensità della domanda, moltiplicando il prezzo di base per un apposito coefficiente quando la domanda aumenta a seguito, ad esempio, di un determinato evento oppure semplicemente di un cambiamento delle condizioni meteorologiche, come un temporale.
Benché i rappresentanti di Uber abbiano sostenuto in udienza che i conduttori sono, in linea di principio, liberi di chiedere un importo più basso di quello indicato dall’applicazione, non credo si tratti di un’opzione veramente realistica per i conducenti. Infatti, pur essendo loro riconosciuta – in via teorica – una siffatta facoltà, Uber trattiene, a titolo di commissione, l’importo derivante dal calcolo del prezzo della corsa compiuto dall’applicazione. Visto che ogni eventuale riduzione del prezzo sarebbe integralmente a carico del conducente, è poco probabile che quest’ultimo si avvalga di tale facoltà. Mi sembra quindi difficile contestare che il prezzo del tragitto è determinato da Uber.
Uber esercita così un controllo su tutti gli aspetti rilevanti del servizio di trasporto urbano: sul prezzo, evidentemente, ma anche sulle condizioni minime di sicurezza attraverso la previsione di requisiti preliminari per quanto riguarda i conducenti e i veicoli, sull’accessibilità dell’offerta di trasporto mediante l’incentivazione dei conducenti ad operare in momenti e luoghi di grande richiesta, sulla condotta dei conducenti attraverso un sistema di valutazione e, infine, sulla possibile esclusione dalla piattaforma. Gli altri aspetti sono, a parere dell’avvocato generale, secondari dal punto di vista di un utente medio del servizio di trasporto urbano e non influenzano le sue scelte economiche. Uber controlla pertanto i fattori economicamente rilevanti del servizio di trasporto offerto nel quadro della sua piattaforma.
52. Benché detto controllo non sia esercitato nel contesto di un classico rapporto di subordinazione gerarchica, non ci si deve tuttavia far ingannare dalle apparenze. Un controllo indiretto, come quello esercitato da Uber – fondato su incentivi finanziari e su una valutazione decentrata da parte dei passeggeri, con un effetto di scala – permette una gestione altrettanto, se non addirittura più efficace, di quella fondata su direttive formali impartite da un datore di lavoro ai suoi dipendenti e sul controllo diretto del rispetto delle medesime.
Ciò mi porta a ritenere che l’attività di Uber consista soltanto in una prestazione di trasporto a bordo di un determinato veicolo individuato e incaricato attraverso l’applicazione per smartphone e che il servizio sia erogato, da un punto di vista economico, da Uber o a suo nome. Il servizio è anche presentato agli utenti e percepito dai medesimi in tal modo. Gli stessi, scegliendo di ricorrere ai servizi di Uber, cercano un servizio di trasporto avente determinati requisiti e una certa qualità. Ed è Uber a garantire che tali requisiti e tale qualità siano soddisfatti.
Tale conclusione non significa però che i conducenti di Uber debbano essere necessariamente considerati come suoi dipendenti. La società di cui trattasi può perfettamente erogare le sue prestazioni servendosi di imprenditori indipendenti che agiscono a suo nome come subcontraenti. La polemica relativa allo status dei conducenti nei confronti di Uber, sfociata già in decisioni giudiziali in taluni Stati membri , è del tutto estranea alle questioni di cui siamo chiamati ad occuparci nell’ambito della presente causa.
Lo stesso vale per la questione della proprietà dei veicoli. Il fatto che Uber non ne sia proprietaria è, ad avviso dell’avvocato generale, irrilevante, posto che un imprenditore può agevolmente garantire servizi di trasporto attraverso veicoli appartenenti a terzi, soprattutto se si serve di detti terzi per l’erogazione dei servizi di cui trattasi e ciò a prescindere dalla natura del vincolo giuridico che tali due parti.
La conclusione cui sono pervenuto impedisce invece, ad avviso dell’avvocato generale, di considerare Uber come un semplice intermediario tra i conducenti e i passeggeri. I conducenti che circolano nel contesto della piattaforma Uber non esercitano un’attività propria che esisterebbe a prescindere da essa. Al contrario, l’attività di cui trattasi può esistere unicamente grazie alla piattaforma, senza la quale non avrebbe alcun senso.
Per tale ragione, ad avviso dell’avvocato generale è errato equiparare Uber alle piattaforme di intermediazione che permettono, ad esempio, di prenotare una stanza d’albergo o di acquistare un biglietto aereo.
Esistono ovviamente delle analogie, ad esempio, rispetto ai meccanismi di prenotazione o di acquisto diretto sulla piattaforma, ai servizi di pagamento o ai sistemi di valutazione. Si tratta di servizi offerti dalla piattaforma ai suoi utenti.
Tuttavia, a differenza dei conducenti di Uber, sia gli alberghi che le compagnie aeree sono imprese che operano in maniera del tutto indipendente da ogni piattaforma di intermediazione e per le quali tali piattaforme rappresentano soltanto uno degli strumenti di commercializzazione dei loro servizi. Sono inoltre essi – e non le piattaforme di prenotazione – a determinare le condizioni di erogazione dei servizi, a iniziare dal prezzo. Tali imprese operano inoltre in conformità delle normative proprie del loro settore di attività, con la conseguenza che le piattaforme suddette non esercitano un controllo preliminare all’accesso come quello cui Uber sottopone invece i suoi conducenti.
Su una siffatta piattaforma di prenotazione, infine, gli utenti possono effettivamente scegliere tra più prestatori le cui offerte si differenziano sotto vari profili per loro rilevanti, come gli standard del volo o dell’alloggio, l’orario dei voli, la collocazione dell’albergo, ecc. Nel caso di Uber invece tali fattori sono standardizzati e determinati dalla piattaforma con la conseguenza che, di norma, il passeggero accetterà la prestazione del primo conducente disponibile.
Uber non funge pertanto da semplice intermediario tra i conducenti disponibili a erogare occasionalmente un servizio di trasporto e i passeggeri alla ricerca di un servizio siffatto. Al contrario, nelle città in cui è presente, essa funge da vero e proprio organizzatore e operatore di servizi di trasporto urbano. Se è vero, come afferma Uber nelle sue osservazioni nell’ambito della presente causa, che la sua idea è innovativa, tale innovazione ricade tuttavia nel settore del trasporto urbano.
Devo inoltre osservare che considerare Uber come una piattaforma che raggruppa autonomi prestatori di servizi potrebbe sollevare dei dubbi dal punto di vista del diritto della concorrenza. Non mi occuperò tuttavia più in dettaglio di tale aspetto in quanto trascende l’ambito della presente causa.
Nel meccanismo di funzionamento di Uber, la messa in contatto del potenziale passeggero con un conducente non ha pertanto un valore economico proprio, in quanto – come già osservato supra – i conducenti che operano per Uber non svolgono un’attività economica indipendente, quantomeno quando operano nell’ambito dei servizi di quest’ultima. Nel quadro del suddetto servizio, infatti, da una parte, i conducenti di Uber possono reperire passeggeri solo attraverso l’utilizzo dell’applicazione in esame; dall’altra, tale applicazione permette soltanto di rinvenire i conducenti che operano su detta piattaforma. L’uno e l’altro sono quindi indissolubilmente collegati e i due formano un servizio unico. Non si ritiene neppure che la prestazione di trasporto propriamente detta possa essere considerata come secondaria.
È vero che il carattere innovativo della piattaforma Uber si fonda, in gran parte, per organizzare il trasporto urbano, sull’utilizzo di nuove tecnologie, quali la geolocalizzazione e gli smartphone. Tale innovazione non si limita però a questo: essa incide anche sull’organizzazione del trasporto stesso. Diversamente, Uber sarebbe una semplice applicazione di prenotazione taxi. Così, nell’ambito del servizio de quo, la prestazione di trasporto rappresenta indubbiamente la prestazione principale nonché quella che gli attribuisce il suo significato economico. Gli utenti cercano i conducenti con una sola finalità, quella di essere trasportati da un luogo in un altro. La fase di messa in contatto ha quindi un carattere soltanto preparatorio per permettere la realizzazione della prestazione principale alle condizioni migliori.
La prestazione di messa in contatto del passeggero con il conducente non è pertanto né autonoma, né principale rispetto alla prestazione di trasporto. Essa non può pertanto essere qualificata come «servizio della società dell’informazione». Una qualificazione siffatta non permetterebbe di conseguire gli obiettivi di liberalizzazione alla base della direttiva 2001/31, perché, quand’anche l’attività di messa in contatto fosse liberalizzata, gli Stati membri potrebbero renderne impossibile lo svolgimento regolamentando l’attività di trasporto. Una siffatta liberalizzazione comporterebbe quindi soltanto che lo Stato membro di stabilimento del prestatore potrebbe beneficiare di detto stabilimento (grazie agli investimenti, alla creazione di posti di lavoro, al gettito fiscale) e impedire nel contempo l’erogazione del servizio sul suo territorio disciplinando le prestazioni non coperte dalla direttiva 2000/31. Una tale situazione contrasterebbe con la ratio della libera prestazione dei servizi della società dell’informazione come configurata dalla direttiva di cui trattasi, la quale si fonda sul controllo della legittimità dell’attività del prestatore del servizio da parte del suo Stato membro di stabilimento e dal riconoscimento di tale controllo da parte degli altri Stati membri.
Una situazione siffatta – in cui il funzionamento della piattaforma non è formalmente vietato, ma l’attività di trasporto non può essere svolta in forma legale in ragione del modello stesso di servizio UberPop, basato su conducenti non professionisti – comporta un ulteriore effetto perverso. È emerso, infatti, come riportato dalla stampa, che Uber utilizza vari metodi per impedire alle autorità di controllare i suoi conducenti, in particolare, scollegando temporaneamente l’applicazione in determinate zone. Essa fornisce inoltre un servizio di assistenza giuridica e finanziaria ai conducenti sanzionati per aver fornito prestazioni di trasporto senza disporre dell’autorizzazione richiesta. I conducenti stessi ricorrono a vari metodi per sottrarsi ai controlli. Questa liberalizzazione incompleta, o semplicemente apparente, nella quale un elemento dell’attività è liberalizzato mentre l’altro continua ad essere regolamentato, sfocia così in una situazione di incertezza giuridica che porta alla creazione di una zona grigia e incoraggia ad infrangere la legge.
L’attività di Uber alla luce della direttiva 2006/123
Non sorprende che l’attività di Uber, come definita ai paragrafi che precedono, vale a dire come una prestazione unica che comporta sia la ricerca del conducente disponibile e la prenotazione della corsa sia la prestazione di trasporto vera e propria, possa essere considerata come un servizio rientrante nel settore dei trasporti ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2006/123.
Benché la sola formulazione letterale della disposizione di cui trattasi, che esclude dall’ambito di applicazione della direttiva 2006/123 i «servizi nel settore dei trasporti», non sembri sufficiente per pervenire a una conclusione siffatta, il considerando 21 di detta stessa direttiva non lascia alcun dubbio, indicando che i servizi di cui trattasi «[comprendono] i trasporti urbani [e] i taxi». Non è quindi necessario entrare nel merito della discussione se le prestazioni di Uber costituiscano una forma di servizio di taxi: tutte le tipologie di trasporto urbano sono ivi menzionate e Uber è certamente una di esse.
L’attività di Uber dovrà quindi essere classificata come rientrante nell’eccezione alla libera prestazione dei servizi prevista dall’articolo 58, paragrafo 1, TFUE e come soggetta alla disciplina di cui agli articoli 90 e seguenti dello stesso. L’articolo 91, paragrafo 1, lettera b), TFUE menziona espressamente le «condizioni per l’ammissione di vettori non residenti ai trasporti nazionali in uno Stato membro» tra le materie che devono essere disciplinate nel quadro di una politica comune dei trasporti. Orbene, se si riconosce, come ritiene l’avvocato generale, che Uber eroga prestazioni di trasporto urbano, essa deve essere considerata, se non come un trasportatore in senso stretto, quantomeno come un organizzatore di servizi di trasporto.
Così, anche senza esaminare la sentenza Grupo Itevelesa e citata dal giudice del rinvio nella sua decisione di rinvio, si deve concludere che l’attività di Uber costituisce un servizio nel settore dei trasporti ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2006/123. Essa è pertanto esclusa dal campo di applicazione della direttiva di cui trattasi. L’attività in esame rientra inoltre nell’eccezione alla libera prestazione dei servizi contenuta nell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE ed è disciplinata dalle disposizioni degli articoli 90 e seguenti TFUE.
Conclusioni sulle prime due questioni pregiudiziali
Riassumendo le considerazioni che precedono, l’avvocato generale ritiene che nel caso di servizi misti, composti da un elemento fornito per via elettronica e da un altro elemento fornito con modalità diverse, il primo elemento, per poter essere qualificato come «servizio della società dell’informazione», debba essere vuoi economicamente indipendente vuoi principale rispetto al secondo. L’attività di Uber deve essere considerata come un unicum che ricomprende sia il servizio di messa in contatto dei passeggeri con i conducenti attraverso l’applicazione per smartphone, che la prestazione di trasporto stessa che rappresenta, da un punto di vista economico, l’elemento principale. Tale attività non può pertanto essere scissa in due per ricondurre una parte del suddetto servizio nel novero dei servizi della società dell’informazione. Un servizio siffatto deve pertanto essere qualificato come «servizio nel settore dei trasporti».
L’avvocato generale propone quindi di rispondere alle prime due questioni pregiudiziali come segue:
– L’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31, letto in combinato disposto con l’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34, deve essere interpretato nel senso che un servizio consistente nel mettere in contatto, attraverso un software per telefoni cellulari, potenziali passeggeri e conducenti che offrono prestazioni individuali di trasporto urbano a richiesta non costituisce un servizio della società dell’informazione ai sensi delle suddette disposizioni ove il suo prestatore assoggetti a controllo le modalità essenziali delle prestazioni di trasporto erogate in tale contesto, in particolare, il loro prezzo.
– L’articolo 58, paragrafo 1, TFUE e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2006/123 devono essere interpretati nel senso che il servizio descritto al punto che precede costituisce un servizio di trasporto ai sensi delle disposizioni di cui trattasi.
Spetterà ovviamente al giudice del rinvio valutare, alla luce delle proprie considerazioni di fatto, se l’attività controversa nel procedimento principale soddisfi il criterio di controllo sopra indicato. Osservo tuttavia che numerosi giudici in vari Stati membri hanno già deliberato in tal senso. Ciò potrà servire da ispirazione al giudice del rinvio, nell’ottica di una giustizia in rete.
Considerazioni conclusive
Considerate le risposte che l’avvocato generale propone di dare alle prime due questioni, la terza e la quarta questione pregiudiziale divengono prive di oggetto. Nelle osservazioni conclusive l’avvocato generale desidera tuttavia analizzare gli effetti giuridici dell’eventuale qualificazione delle prestazioni erogate da Uber come servizio autonomo, limitato alla messa in contatto dei passeggeri con i conducenti, che non ricomprenderebbe la prestazione di trasporto propriamente detta. Un servizio siffatto dovrebbe indubbiamente essere qualificato come «servizio della società dell’informazione». Non sarebbe tuttavia, ad avviso dell’avvocato generale, necessario verificare se detto servizio ricada nel settore dei trasporti.
Il servizio di messa in contatto quale servizio della società dell’informazione
Va ricordato che, a norma dell’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34, un servizio della società dell’informazione è un servizio prestato dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario. Un servizio che consiste nel mettere in contatto potenziali passeggeri e conducenti, attraverso un’applicazione per smartphone, soddisferebbe indubbiamente tali criteri.
Per quanto attiene al carattere oneroso della prestazione, nel sistema Uber una parte del prezzo pagato per la corsa è destinata all’operatore della piattaforma. A seguito dell’erogazione della prestazione di trasporto il passeggero versa pertanto un corrispettivo per la messa in contatto.
Il suddetto servizio, analizzato separatamente dalla prestazione di trasporto, sarebbe inoltre offerto a distanza, posto che le due parti, Uber e il destinatario del servizio, non sono contemporaneamente presenti. La prestazione di messa in contatto avviene con l’ausilio di un’applicazione per smartphone che opera per mezzo della rete Internet, modalità questa che rientra indubbiamente nella nozione di fornitura per via elettronica. Si tratta peraltro dell’unica modalità di prenotazione di una corsa disponibile nell’ambito della piattaforma Uber. Il servizio, inoltre, non è fornito in maniera continua, ma su richiesta del destinatario.
Il servizio erogato da Uber, come descritto nel paragrafo 74 delle presenti conclusioni, rientrerebbe pertanto nel campo di applicazione delle disposizioni della direttiva 2000/31.
Posto che l’applicazione Uber è gestita e fornita sul territorio dell’Unione, sia ai conducenti che ai passeggeri, dalla società Uber BV, stabilita nei Paesi Bassi, negli altri Stati membri, compresa la Spagna, tale fornitura à compiuta nell’ambito della libera prestazione dei servizi, disciplinata, in particolare, dall’articolo 3, paragrafi 2 e 4, della direttiva 2000/31.
In forza delle suddette disposizioni, gli Stati membri non possono, in linea di principio, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera prestazione di servizi provenienti da altri Stati membri introducendo prescrizioni, indipendentemente dal fatto che esse siano specificamente destinate ai servizi della società dell’informazione o abbiano carattere generale. L’ambito regolamentato copre, in particolare, a norma dell’articolo 2, lettera h), punto i), primo trattino, della direttiva 2000/31, le prescrizioni relative all’«accesso all’attività (…), quali ad esempio le prescrizioni riguardanti (…) i regimi di autorizzazione (…)». Di contro, in forza della lettera h), punto ii), terzo trattino, di detta stessa disposizione, l’ambito regolamentato non comprende le norme sui «servizi non prestati per via elettronica».
Ne consegue che la prescrizione relativa alla titolarità di un’autorizzazione ad erogare servizi di intermediazione nell’ambito della conclusione di contratti di trasporto urbano a richiesta, se ancora vigente e se applicabile al servizio di intermediazione fornito dalla piattaforma Uber, ricadrebbe nell’ambito regolamentato e sarebbe quindi coperta dal divieto sancito dall’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31. Di contro, tutte le prescrizioni gravanti sui conducenti, per quanto attiene sia all’accesso che all’esercizio dell’attività di cui trattasi, non rientrano nell’ambito regolamentato e non sono, di conseguenza, soggette al suddetto divieto, dal momento che il servizio di trasporto, per sua stessa natura, non è prestato per via elettronica.
In forza dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2000/31, gli Stati membri possono adottare provvedimenti in deroga alla libera prestazione dei servizi della società dell’informazione se necessari per ragioni di ordine pubblico, sanità pubblica, pubblica sicurezza o tutela dei consumatori.
Benché la quarta questione pregiudiziale riguardi proprio la giustificazione delle misure nazionali controverse, il giudice del rinvio non indica nella sua domanda le ragioni che potrebbero giustificare l’assoggettamento dell’attività di intermediazione nel settore del trasporto al rilascio di un’autorizzazione. Nelle sue osservazioni, il governo spagnolo adduce giustificazioni attinenti alla gestione della circolazione e alla sicurezza stradale. Tuttavia, si tratterebbe piuttosto di ragioni che possono all’apparenza giustificare prescrizioni a carico dei conducenti che erogano le prestazioni di trasporto.
Per quanto attiene direttamente alle prestazioni di intermediazione, la sola ragione dedotta dal governo spagnolo che potrebbe applicarsi a Uber è quella attinente alla trasparenza nella fissazione dei prezzi, rientrante nell’ambito della tutela dei consumatori. Ricordo che, nel sistema Uber, il prezzo della corsa non è stabilito dal conducente ma dalla piattaforma. Tale trasparenza potrebbe tuttavia, ad avviso dell’avvocato generale, essere garantita ricorrendo a strumenti meno restrittivi del requisito della previa autorizzazione all’esercizio dell’attività di intermediazione, come ad esempio un obbligo di informazione del passeggero. Un requisito siffatto non soddisferebbe quindi il criterio di proporzionalità, previsto espressamente all’articolo 3, paragrafo 4, lettera a), punto iii), della direttiva 2000/31.
La complessità del procedimento principale scaturisce tuttavia dal fatto che lo stesso verte sulla richiesta di sanzionare Uber per asseriti atti di concorrenza sleale compiuti a danno di membri della ricorrente. Tali atti non risulterebbero soltanto dal fatto che Uber esercita l’attività di intermediazione nella conclusione di contratti senza disporre dalla necessaria autorizzazione, ma anche dal fatto che i conducenti che erogano le prestazioni di trasporto nell’ambito della piattaforma Uber non soddisferebbero i requisiti posti dalla normativa spagnola per tale tipologia di prestazioni. Orbene, tali requisiti non ricadono né nella direttiva 2000/31, né nella direttiva 2006/123, rientrando indubbiamente nel settore dei trasporti.
Le disposizioni della direttiva 200/31 impediscono quindi di sanzionare Uber per la concorrenza sleale derivante dall’attività dei conducenti che erogano le prestazioni di servizio nell’ambito di detta piattaforma?
Come precedentemente osservato, Uber non sarebbe un mero intermediario tra passeggeri e conducenti. Tale soggetto organizza e gestisce un sistema completo di trasporto urbano a richiesta ed è quindi responsabile non soltanto della prestazione di messa in contatto di passeggeri e conducenti, ma anche dell’attività di questi ultimi. Lo sarebbe anche se la prestazione di intermediazione dovesse essere considerata come indipendente dalla prestazione di trasporto propriamente detta, posto che, in definitiva, le suddette due prestazioni sarebbero erogate da Uber o in suo nome.
A parere dell’avvocato generale, non è sostenibile un’interpretazione secondo cui, per garantire l’efficacia della direttiva 2000/31, l’attività di Uber dovrebbe beneficiare nel suo insieme della liberalizzazione prevista dalla direttiva de qua. Un’interpretazione siffatta contrasterebbe infatti con le disposizioni contenute nella direttiva 2000/31, secondo cui il divieto contenuto nell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva di cui trattasi riguarda solo le prescrizioni relative ai servizi prestati per via elettronica. In base a un’interpretazione di tal sorta, ogni attività economica potrebbe teoricamente rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/31, in quanto oggi ogni imprenditore è in grado di proporre prestazioni per via elettronica, quali le informazioni sui prodotti o i servizi, le prenotazioni, la fissazione di appuntamenti o i pagamenti.
La direttiva 2000/31 non osta alla previsione, nel diritto nazionale, di prescrizioni in merito all’attività di trasporto propriamente detta e non impedisce di sanzionare Uber per il loro mancato rispetto, anche attraverso un provvedimento inibitorio del servizio. Orbene, l’organizzazione dell’attività di Uber, quantomeno per quanto riguarda il servizio UberPop, oggetto del procedimento principale, è tale da impedirle di adeguarsi alle suddette prescrizioni. L’attività di cui trattasi si basa infatti su conducenti non professionisti che, non disponendo di una licenza di trasporto urbano, per definizione non soddisfano tali prescrizioni. Il fatto di considerare l’attività di intermediazione come servizio della società dell’informazione non inciderebbe minimamente su tale conclusione, posto che le prestazioni dei conducenti non rientrano nel campo di applicazione della direttiva 2000/31. Ciò dimostra il carattere artificiale di una distinzione tra servizi forniti per via elettronica e servizi forniti con modalità diverse quando queste due prestazioni sono così strettamente collegate e sono erogate dal medesimo prestatore.
L’avvocato generale non invece che l’esigenza di garantire l’efficacia della normativa in materia di prestazione dei servizi di trasporto stricto sensu possa giustificare la previsione, in via preventiva, di un obbligo di autorizzazione per i servizi di intermediazione in generale. Il contrasto delle attività illecite in tale settore può essere soltanto repressivo.
Per concludere questa parte, l’avvocato generale ritiene che se l’attività di messa in contatto dei potenziali passeggeri con i conducenti dovesse essere considerata come indipendente dalla prestazione di trasporto propriamente detta e quindi, come un servizio della società dell’informazione, allora l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2000/31 osterebbe al requisito dell’autorizzazione ad erogare un servizio siffatto a meno che tale requisito non sia giustificato da una delle ragioni elencate nell’articolo 3, paragrafo 4, di detta direttiva e sia proporzionato all’obiettivo perseguito, ipotesi che mi sembra poco verosimile. Tuttavia, tale situazione non spiegherebbe effetti giuridici concreti, dal momento che il servizio di messa in contatto di cui trattasi è privo di significato economico in mancanza delle prestazioni di trasporto che, di contro, possono essere assoggettate dal legislatore nazionale a numerose prescrizioni.
Sull’applicabilità della direttiva 2006/123
Per quanto attiene all’applicabilità della direttiva 2006/123, non è, ad avviso del procuratore generale, necessario verificare se un servizio consistente nel mettere in contatto, attraverso un’applicazione per smartphone, potenziali passeggeri e conducenti che erogano prestazioni di trasporto urbano a richiesta rientri nella nozione di servizio nel settore dei trasporti ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della direttiva di cui trattasi.
L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 sancisce infatti un primato delle disposizioni di altri atti di diritto dell’Unione che disciplinano l’accesso e l’esercizio di un’attività di servizio in settori specifici in caso di conflitto tra tali disposizioni e la direttiva di cui trattasi. Anche se la direttiva 2000/31 non rientra tra gli atti elencati nella suddetta disposizione, la formulazione «[t]ra tali atti (…) rientrano» indica – ad avviso dell’avvocato generale – chiaramente che si tratta di un’elencazione non esaustiva limitata agli atti la cui inclusione non è di per sé evidente. Orbene, la direttiva 2000/31 riveste, a tal proposito, carattere di lex specialis rispetto alla direttiva 2006/123 che, anche in assenza dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2006/123, dovrebbe prevalere in forza del principio lex posterior generali non derogat legi priori speciali.
Pertanto, se l’attività di intermediazione dovesse essere considerata come rientrante nella direttiva 2000/31, essa sarebbe esclusa dall’ambito di applicazione della direttiva 2006/123.
Conclusione
Alla luce delle considerazioni che precedono, l’avvocato generale propone alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dallo Juzgado Mercantil n. 3 de Barcelona (tribunale commerciale n. 3 di Barcellona, Spagna) come segue:
1) L’articolo 2, lettera a), della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico»), in combinato disposto con l’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, come modificata dalla direttiva 98/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 luglio 1998, deve essere interpretato nel senso che un servizio consistente nel mettere in contatto, attraverso un software per telefoni cellulari, potenziali passeggeri e conducenti che offrono prestazioni individuali di trasporto urbano a richiesta non costituisce un servizio della società dell’informazione ai sensi delle suddette disposizioni in una situazione in cui il prestatore di detto servizio assoggetta a controllo le modalità essenziali delle prestazioni di trasporto erogate in tale contesto, in particolare, il prezzo di dette prestazioni.
2) L’articolo 58, paragrafo 1, TFUE e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, devono essere interpretati nel senso che il servizio descritto al punto che precede costituisce un servizio di trasporto ai sensi delle disposizioni di cui trattasi.
Fonti: