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Pareri legali alle p.a. o ad enti regionali o statali: quando sono accessibili?

Quante volte sara’ capitato ad una startup innovativa di tovarsi di fronte ad un tema legale delicato gia’ affrontato da una pubblica amministrazione o da un ente regionale o statale in altri casi, per il tramite di un avvocato selezionato in vario modo dalla p.a. e sentirsi rispondere “spiacente per dovere di riservatezza e deontologia professionale non possiamo rivelare il contenuto del parere”.

Vi e’ capitato?

Bene, perche’ molto probabilmente a seguito della sentenza del TAR Sicilia del 29 maggio 2014, potrete opporre allo zelante funzionario pubblico il diritto di accesso agl atti amministrativi.

Benché l’esigenza di conoscere l’attività e l’organizzazione della Pubblica Amministrazione fosse sempre stata avvertita nel nostro ordinamento, alla luce dell’interesse collettivo perseguito, soltanto con la Legge n. 241/1990 è stata condotta un’operazione di trasparenza, comprensiva degli istituti della partecipazione del cittadino al procedimento, della comunicazione di avvio dello stesso, della motivazione dei provvedimenti e l’istituto dell’accesso, trasformando l’ostensibilità degli atti amministrativi da eccezione in regola.

Il diritto di accesso non deve essere inteso, però, come accessibilità totale nei confronti di qualsiasi atto o di qualsiasi informazione perché deve essere esercitato per conoscere documenti che si inseriscono in procedimenti volti all’adozione di provvedimenti idonei ad incidere sulla sfera giuridica di un soggetto.

L’art. 24 della Legge 241/1990 ha, infatti, ha ridotto la segretezza degli atti della P.A. a casi particolari, in ragione della tipologia di interessi e di finalità, stabilendo precisi limiti al diritto di accesso.

In queste fattispecie rientrano, secondo quanto rimarcato anche nella sentenza in commento, gli atti redatti dai legali e dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l’Amministrazione, in quanto coperti dal segreto professionale, avente ad oggetto notizie e documenti acquisiti in ragione dello status, dell’ufficio, della professione o dell’arte del soggetto che li detiene, tutelato dall’art. 622 c.p.

In tale ipotesi, infatti, i documenti, anche se formati o conservati dalla Pubblica Amministrazione, non sono suscettibili di divulgazione, perché il principio di trasparenza cede di fronte all’esigenza di tutelare l’interesse protetto dalla normativa speciale sul segreto.

Più in particolare, i pareri legali, se riferiti all’iter procedimentale e innestati nel provvedimento finale, sono soggetti all’accesso, non lo sono, invece, quando attengano alle tesi difensive in un procedimento contenzioso o pre contenzioso.

Appare evidente che l’accesso ai pareri legali si colloca tra il principio di trasparenza della Pubblica Amministrazione ed il segreto professionale, tenendo conto della diversa natura della consulenza che l’amministrazione può richiedere al proprio legale.

Così, se il ricorso ad un parere esterno avviene nell’ambito di un’istruttoria procedimentale, esso svolge una funzione endoprocedimentale, e, in quanto posto a supporto ed, alcune ipotesi anche in luogo della motivazione, deve essere reso accessibile.

In altre parole, poiché inserito in un segmento endoprocedimentale, il parere stesso si “amministrativizza”, divenendo documentazione amministrativa, ex art. 22 della L. 241/90.

Se, invece, il parere viene richiesto in occasione di un contenzioso, cioè nel corso di un giudizio oppure in una fase pre-contenziosa, l’accesso ad esso potrebbe incidere sul diritto di difesa costituzionalmente garantito e, per tale ragione, viene negato.

Nel caso di specie, il Tar Sicilia è stato chiamato a giudicare in merito alla richiesta di accedere ad un parere dell’ufficio legale, espressamente richiamato in un provvedimento finalizzato a chiarire la normativa relativa agli emolumenti corrisposti agli organi collegiali dell’’Ente consortile “Acquedotto Consortile Biviere”.

Secondo la sentenza 29 maggio 2014, n. 1376 della terza sezione del TAR Sicilia Palermo, conformemente a quanto sostenuto dal Consiglio di Stato (sezione VI, sentenza 30 settembre 2010, n. 7237), poiché tale parere era stato richiamato nell’atto, che faceva riferimento alla esigenza di conformare la propria azione ai suoi contenuti, il Comune di Palermo avrebbe dovuto consentire l’acquisizione in copia.