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Normativa americana sui BTC? Poco autorevole e molto autoritaria.

Negli Stati Uniti permane incessante l’attenzione delle principali istituzioni governative e finanziarie sulle cosiddette monete virtuali e vengono prodotti sempre nuovi schemi regolamentari probabilmente tesi a limitarne il fenomeno.

Le parole di Benjamin M. Lawsky il cui cognome tradotto significa legge dal cielo (nome omen?) risuonano illuminanti nella seduta pubblica del 28 gennaio scorso del NYDFS: (traduzione) “….le azioni legali fin qui intraprese dimostrano quanto sia importante individuare dei guardrails che pongano un argine all’uso criminoso delle monete virtuali evitando operazioni di riciclaggio o altre operazioni criminali”.

Nel caso non fosse chiaro Lawsky precisa subito quale sarà l’impostazione delle sedute pubbliche e il regolamento che ne scaturirà fuori.

Ovviamente fondato sulla paura.

Lawsky – non richiesto – precisa subito che le sedute non saranno certamente caratterizzate da alcuna forma di pre-giudizio sulle monete virtuali.

Al primo anno di giurisprudenza mi insegnarono un bel detto latino. “Excusatio non petita, accusatio manifesta“. Che tradotto significa: “chi si scusa, si accusa”.

In realtà i componenti di tutti gli organi governativi e bancari americani che fino ad oggi hanno prodotto una valanga interminabile di pronunce, regolamenti, decisioni, indicazioni, moniti, suggerimenti e quant’altro, in relazione ai Bitcoin e alle monete virtuali in genere, stanno sempre più dimostrando un certo grado di difficoltà nel gestire la materia.

E questo dipende apparentemente dal grave gap generazionale e culturale che anche in America – come in Italia – separa la classe dirigente da coloro che stanno esplorando e sviluppando la nuova rivoluzione monetaria digitale. Ad ogni modo, arrivati al 17 luglio 2014, il nostro amico Lawsky e il NYDFS hanno prodotto un regolamento alquanto curioso, teso a regolamentare le attività di coloro che gestiscono business con Bitcoin (e altre monete virtuali).

Il regolamento è stato pubblicato il 23 luglio è ci sono 45 giorni di tempo per consentire a qualunque parte interessata la formulazione di commenti o emendamenti. Il regolamento ha un vago sapore autoritario. Si inizia subito con la sezione 200.3, lettera a) che dice testualmente “Nessuno potrà impegnarsi in qualunque attività relativa a Monete Virtuali, senza avere prima ottenuto dal soprintendente una autorizzazione così come previsto dal presente regolamento”. La traduzione forse non rende la portata generalista delle parole del regolamento. Si usa il termine “engage” e il termine “any” come a chiarire la portata indefinibile della autorizzazione.

Tipico di chi non ha le idee chiare e nel dubbio impedisce tutto o sottopone tutto a una autorizzazione.

Fortunatamente il punto 2 della lettera c, della medesima sezione 200.3 esclude dal novero dei soggetti sottoposti ad obbligo di licenza, coloro che utilizzano bitcoin solo per vendere prodotti o servizi. Cioè se incasso 10 BTC in cambio di merce non ho bisogno di una licenza, ma se voglio rivendere i BTC a terzi o su un mercato di BTC (qualunque esso sia), devo chiedere una licenza?

Se così è, il regolamento, sottoponendo ad autorizzazione l’operatore che vuole commercializzare i BTC, sottrae energia al principale volano che sta consentendo ad oggi di far crescere il fenomeno e cioè la libertà di scambio dei BTC basato su un rapidissimo scambio che spesso avviene on line ma anche off line. Mi racconta un mio amico Startupper che vive a San Francisco come la sia comune vedere nei bar persone che si scambiano BTC con i loro wallet mobile. Presi singolarmente sono piccoli interscambi ma globalmente rappresentano un volume rilevante.

Anche questi saranno soggetti a controllo? Mi immagino il soprintendente andando a controllare uno per uno i bar di San Francisco. O forse una nuova regola che impone i baristi di controllare che non si commerci in BTC nei loro tavolini. NO dogs and BTC are allowed here.

Alcune disposizioni poi sarebbero più adatte al cenozico.

Alla sezione 200.4 infatti, quella relativa alla application form, si chiede all’applicant di inviare moltissime informazioni rendendo la licenza ad elevatissima formalità. Quasi poeticamente, si chiede una fotografia che però (attenzione!) non deve misure più di 2×2 pollici. Quindi per regolare la rivoluzione digitale, il NYDFS impone procedure amministrative per licenze da gestirsi interamente in versione cartacea.

Così sembra! Anche se il punto b) successivo lascia al soprintendente la possibilità di decidere (a sua discrezione e caso per caso, bontà sua per grazia ricevuta) quali documenti di quella marea elencati nel regolamento, possono essere inviati dall’applicant in formato elettronico.

Nell’era del digitale questa norma puzza di ostacolo burocratico da lontano un miglio.

Poi, dopo l’elenco di 14 diverse tipologie di documenti, arriva impietoso e direi di stampo medioevale, il punto 14 della sezione 200.4: “Qualunque altro ulteriore documento che il soprintendente volesse richiedere”.

Quindi c’è un regolamento che sembra una foresta, un soprintendente che sembra uno sceriffo e i bitcoin miners che sembrano quelli nascosti nella foresta che rubano ai poveri per dare ai ricchi. Dove ho già sentito questa storia? E poi ci sono i buchi neri giganteschi.

Alla sezione 200.6, punto b “Approvazione o rigetto della domanda” si dice che il soprintendente-sceriffo deve decidere entro 90 giorni dalla data di presentazione della domanda e che questo termine può essere prorogato sostanzialmente a piacimento dal soprintendente. Ma cosa succede se passano i 90 giorni e il termine non è stato prorogato? Silenzio-assenso? Silenzio-dissenso? Per ora solo silenzio.

La sezione 200.7 lettera b) ristruttura una sempre verde responsabilità oggettiva altrimenti nota come “capro espiatorio”. Viene individuato un responsabile della licenza che si farà carico di qualunque adempimento a leggi, regolamenti, ordini relativi all’uso dei BTC soggetti a tale licenza. Ci sono poi alcune sezioni dedicate ad una serie di adempimenti burocratici direi incredibilmente borbonici per delle società operanti in moneta virtuale.

Contabilità in appositi registri, cambio della compagine societaria, fusioni e acquisizioni, e sopratutto costituzione di bond o trust account in favore dei clienti dell’applicant, del valore e caratteristiche accettabili dal soprintendente.

Cioè poteri assoluti principeschi del soprintendente il quale può valutare, a totale discrezione e senza alcun criterio oggettivo, se tali bond o trust sono accettabili o meno.

E poi le due norme che eticamente direi forse sono quelle più sensate ma così come scritte sembrano sempre finalizzate più ad ostacolare la creazione di piccoli wallet di BTC e/o piccoli gestori di monete virtuali che realmente contribuire alla trasparenza del fenomeno:

Sezione 200.15 – Programma Antiriclaggio

Sezione 200.16 – Programma Cybersecurity

Direi che i parametri minimi da rispettare per i due programmi sono talmente impegnativi da ridurre notevolmente il numero di possibili applicant. Anche qui mi chiedo se tutta questa tutela preventiva (peraltro mai vista in altre situazioni) sia finalizzata alla protezione dei consumatori e ad evitare fenomeni di crescita del riciclaggio di denaro o piuttosto a ridurre al minimo il numero di potenziali operatori in monete virtuali nello stato di New York e evitare imbarazzi a banche commerciali e banche centrali.

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