L’11 aprile 2014, la Corte Distrettuale degli Stati Uniti per il Distretto Nord della California ha stabilito che la clausola contenuta nelle condizioni generali di un sito internet volta a regolare una deroga sul giudice competente, rinviando tutto ad un dato foro (nel caso in questione si trattava del foro del Delaware), è valida ed efficace se accettata dall’utente per poter usufruire del servizio.
La causa è stata intentata da tale Enrico Moretti nei confronti della Hertz Corporation, in relazione ad una cosiddetta “Class Action Putativa” concernente il prezzo applicabile al servizio offerto dalla Hertz.
Senza entrare nel merito della questione, è stata sollevata una eccezione da parte dei legali della Hertz i quali sostenevano che il ricorso presentato dinanzi alla Corte Californiana fosse improcedibile poichè l’utente aveva espressamente accettato le condizioni generali del servizio reso dalla Hertz (si trattava di rent-car service), la cui lettura poteva essere effettuata dall’utente attraverso un apposito hiperlink.
Il giudice ha ritenuto fondata l’eccezione dei legali della Hertz poichè se l’utente non avesse apposto un click nell’apposito box per l’accettazione delle condizioni generali, non avrebbe potuto usufruire del servizio.
Non avendo l’attore fornito prove sufficienti a dimostrare che il box non era stato accettato e che sopratutto il servizio poteva essere fornito anche in assenza dell’apposito click, la clausola relativa alla deroga del foro competente è stata considerata valida ed applicabile e la class action putativa è stata dirottata alla corte ritenuta competente, ovvero quella del Delaware.
A nulla inoltre sono valse le considerazioni svolte dai legali di Moretti tese a dimostrare che il rinvio ad un hiperlink rendeva ostica la conoscibilità delle condizioni generali e non si poteva pretendere da un utente medio la capacità di raggiungere facilmente l’hiperlink e di individuare in esso le clausole più importanti quali quelle relative alla deroga di giurisdizione.
Per una lettura integrale del dispositivo, leggi la decisione della Corte Californiana.
Questo caso riporta l’attenzione sulla spinosa tematica relativa all’accettazione delle condizioni generali in internet e delle clausole vessatorie e sul quando possano essere considerate valide ed efficaci.
Se infatti il tema della vessatorietà delle clausole negli Stati Uniti viene in parte risolto attraverso l’obbligo di predisporre tali clausole utilizzando caratteri maiuscoli e di dimensioni minime, onde consentirne la facile lettura all’utente medio, in Europa la disciplina è molto severa.
Come noto, le clausole vessatorie sono quelle clausole che comportano una particolare sproporzione di diritti e obblighi a carico di chi sottoscrive il contratto, sancendo un vantaggio, invece, nei confronti di chi lo ha predisposto. Il codice civile non individua un numerus clausus di clausole da considerare vessatorie, ma le indica, in modo generale, all’art. 1341, 2° comma: sono quelle condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.
Sempre il 2° comma dell’articolo in esame prevede che tali clausole siano specificatamente approvate per iscritto. Si tratta della famosa seconda firma che viene inserita nei contratti, in cui normalmente viene apposta la clausola che comincia con la dicitura “Ai sensi e per gli effetti degli artt. 1341 seguenti c.c., le parti approvano specificatamente i seguenti articoli” eccetera.
In generale, le legislazioni di quasi tutti i paesi europei subordinano la validità ed efficacia di una clausola cosiddetta vessatoria (il cui ambito può variare da paese a paese ma in cui rientra quasi sempre la clausola di deroga al foro competente) alla sua accettazione espressa in modo che sia chiaro ed evidente che la stessa sia stata concordata in modo chiaro tra le parti contraenti.
Naturalmente il problema principale sorge in relazione all’interpretazione del concetto di “accettazione espressa”.
In Italia, il Tribunale di Catanzaro con l’Ordinanza Tribunale di Catanzaro, depositata il 30 aprile 2012 decidendo in merito ad una causa tra E-Bay e un suo utente business, ha sicuramente fatto scuola in Italia.
In Francia un caso analogo è stato invece affrontato dalla Corte d’Appello di Pau, con decisione del 23 marzo 2012 nel caso Sébastien R. c. Facebook.
Il Tribunale, che nel dispositivo ha ampiamente trattato il tema del cosiddetto “Point per Click” e della distinzione tra firma digitale e firma elettronica, ha sancito l’invalidità delle clausole vessatorie allorquando il consenso ad esse sia prestato attraverso un semplice click.
Per il giudice di Catanzaro, dunque, sebbene i contratti conclusi online siano normalmente validi attraverso il click del mouse, non è così nel caso di clausole vessatorie in essi contenute. Una sottoscrizione tramite il web non è, quindi, sufficiente a supplire la forma scritta richiesta dalla legge (salvo che non sia effettuata con firma digitale), con la conseguenza, a livello pratico, che il venditore non potrà più opporre alcuna di tali clausole al consumatore, benché questi sia stato regolarmente informato e le clausole mostrate sul sito o fatte approvare col click di accettazione.
Al venditore online, come escamotage volto a superare il problema dell’accettazione scritta delle clausole in questione, non rimarrebbe altra possibilità che far sottoscrivere un testo contrattuale, invitando l’utente a scaricare un form e a stamparlo, a sottoscriverlo e inviarlo per posta (o anticipato per fax) al venditore. In assenza di dispositivi di firma digitale, solo in questo modo il contratto avrebbe efficacia anche per le clausole vessatorie in esso contenute.
Tuttavia, sono allo studio diverse forme di approvazione espressa e tra queste vi è il sistema caratterizzato dal click su un apposito box indicante l’elenco delle clausole vessatorie che possono essere più agevolmente lette dall’utente.
Ad avviso di chi scrive, poichè lo scopo ultimo della sottoscrizione espressa è quello di dimostrare come l’utente abbia effettivamente letto ed accettato espressamente le clausole vessatorie in questione, potrebbe considerarsi sufficente l’accettazione espressa delle clausole vessatorie venga con un “point per click” dedicato in un apposito box contenente l’elencazione delle clausole stesse e, auspicabilmente, un hiperlink a tali clausole per facilitarne la lettura all’utente.
Inoltre, per verificare con un grado di ragionevole certezza, l’identità dell’utente, soccorrerebbe il cosidetto “double opt-in” ovvero il sistema automatico di invio e-mail all’indirizzo indicato dall’utente con il quale lo si invita a confermare la registrazione ad un dato servizio internet.
Naturalmente questi possono essere considerati dei palliativi rispetto all’approvazione fatta con firma scritta o digitale ma ci si chiede quanto l’utente medio riponga l’atenzione sulle clausole vessatorie quando sottoscrive in due punti separati e lettura delle clausole elencate, rispetto al sistema di visualizzazione on line che, per assurdo, potrebbe essere più efficace in termini di trasparenza rispetto alla tradizionale firma scritta apposta in calce ad un lungo documento.
Se infatti il legislatore si ponesse il problema di quanti siano i soggetti che realmente leggono le clausole vessatorie che approvano espressamente per iscritto, si renderebbe conto che non solo sono pochissimi, ma che molto spesso e volentieri coloro che devono raccogliere le firme, sottopongono solo l’ultima pagina del contratto all’utente o addirittura il solo modulo d’ordine, con una x su dove devono firmare, rinviando la lettura delle condizioni generali ad un secondo momento, successivamente alla firma.
Per quanto criticabili e oscure, le condizioni generali on line sono da questo punto di vista decisamente più trasparenti di quanto non lo siano quelle predisposte su carta dalle aziende tradizionali.
Pare infine opportuno ricordare brevemente anche l’interazione tra le norme in tema di codice del consumo e codice civile italiano.
Le condizioni generali di contratto pubblicate all’interno di un sito di commercio elettronico hanno il preciso scopo di disciplinare in modo uniforme una serie indefinita di rapporti contrattuali.
Nell’ambito del commercio elettronico sono numerosi i fattori che determinano una propensione alla standardizzazione dei modelli contrattuali.
Naturalmente, la standardizzazione dei contratti ha anche l’obiettivo di realizzare, data la disparità di condizioni delle parti, una sostanziale “adesione” dell’acquirente di prodotti online.
La disciplina del commercio elettronico prevede degli obblighi di “informazione generale” per identificare correttamente il fornitore (art. 7, D.lgs. n.70 del 2003): obblighi di informazione per la comunicazione commerciale – che devono essere letti alla luce di quelli specifici di cui agli artt. 37 e 38 del Codice del Turismo – al fine di evidenziare la natura promozionale insieme ad altre indicazioni (art. 8 e 9), ulteriori obblighi di informazione per la conclusione del contratto da aggiungersi a quelle previste dalla disciplina dei contratti a distanza (art. 12); messa a disposizione di clausole e condizioni generali di contratto al fine di consentire al consumatore la loro memorizzazione e riproduzione (art.12, comma 3); conferma della ricezione dell’ordine con riepilogo degli elementi contrattuali (art. 13).
Le violazioni alle disposizioni ora citate (con la sola esclusione di quella dell’art. 13) sono soggette al pagamento di una somma pecuniaria (art. 21).
In linea generale, dunque, nel commercio elettronico, l’attività informativa a carico del fornitore deve essere funzionale non tanto all’oggettiva conoscenza tecnica del servizio offerto, che presuppone un’esperienza personale dell’acquirente certamente non frequente, ma deve essere mirata a soddisfare, in concreto, le effettive esigenze di quest’ultimo: garantendo, in tal senso, l’adeguatezza e la potenzialità del bene (o servizio) offerto a soddisfare i bisogni dell’altro contraente.
In tale prospettiva è necessario che l’utente proceda ad un’adeguata analisi delle proprie esigenze e fornisca tutte le informazioni utili al fornitore/venditore. Nel suo ruolo di garanzia, quindi, il contratto costituisce la base di riferimento, il documento di riscontro, per la misura della tipologia, quantità e qualità dei servizi erogati tra le parti contraenti. Per questo deve compiutamente definire, oltre ai servizi oggetto del contratto, anche le attività e le responsabilità legate alla loro commercializzazione.
I contratti online sono, dunque, caratterizzati da un elevato livello di standardizzazione; tra le condizioni generali inserite nei contratti di distribuzione on line è frequente l’impiego di clausole rivolte a limitare o escludere la responsabilità del produttore-fornitore a fronte di disfunzioni del sistema.
Spesso si ricorre anche alle clausole c.d. di garanzia, le quali limitano ed escludono ogni altra garanzia di qualità, buon funzionamento o idoneità rispetto ad uno specifico scopo. Nella medesima prospettiva della salvaguardia della posizione contrattuale del distributore, alcune clausole predeterminano il danno risarcibile rispetto ad eventuali inadempimenti, quantificandolo in un dato ammontare, ovvero escludendo la risarcibilità di quei danni che soltanto impropriamente vengono definiti indiretti.
Le condizioni generali, per essere efficaci nei confronti dell’acquirente dovranno essere portate a conoscenza dell’altra parte prima dell’accettazione (compilazione del form online), come disposto dall’art. 1341 c.c., I comma.
Al fine di rendere effettivamente conoscibili, secondo lo spirito della norma, le disposizioni contenute nelle condizioni di contratti, è opportuno che queste siano: a) pubblicate in un’apposita sezione del sito facilmente individuabile dall’utente (potenziale acquirente), diversa dalla sezione F.A.Q. del sito (Frequently Asked Questions), che deve essere ben visibile e chiara (conoscibilità delle clausole); b) redatte in modo chiaro e facilmente comprensibile; c) accessibili all’utente in ogni fase della compilazione del modulo d’ordine, mediante la predisposizione di un apposito link di rinvio.
Infine si ricorda che il Consiglio dei Ministri italiano, in data 3 dicembre 2013, ha adottato lo schema di decreto legislativo per il recepimento a livello nazionale della direttiva europea sui diritti dei consumatori 2011/83/U contenente disposizioni e modifiche in tema di:
a) tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali;
b) protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza.
Tali norme NON sono applicabili a coloro che acquistano un prodotto o servizio per utilizzarlo a fini commerciali, accademici o comunque non rientranti nella definizione di “consumatore” come definito all’art. 3, punto 1, lettera a) del Decreto Legislativo 206/2005 (“Codice del Consumo”)
Queste in sintesi le modifiche:
1) Maggiore trasparenza dei prezzi
I venditori dovranno indicare chiaramente il costo totale del prodotto o servizio, incluso qualunque addebito supplementare.
Gli acquirenti online non dovranno pagare spese o altri costi se non ne sono stati adeguatamente informati prima dell’effettuazione dell’ordine.
2) Divieto delle caselle preselezionate sui siti web
E’ tra le novità di maggior rilievo.
Attualmente i consumatori in molti siti internet sono costretti a deselezionare queste caselle se non desiderano i servizi supplementari.
Con la nuova direttiva, le caselle preselezionate saranno vietate
3) Diritto di ripensamento – 14 giorni di tempo per cambiare idea
Grazie all’articolo 9 della direttiva “il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali senza dover fornire alcuna motivazione”.
Quindi, si allunga il periodo durante il quale i consumatori possono recedere dal contratto di acquisto, portato a 14 giorni rispetto ai 7 attualmente prescritti.
I consumatori possono restituire le merci per qualunque ragione se cambiano idea sempre nei limiti di cui al codice del consumo (vedi merci deperibili, confezionate su misura, somministrazioni continuative, servizi software aperti o il cui utilizzo è già stato avviato).
4) Inoltre, qualora un venditore non informi chiaramente il cliente circa il diritto di recesso, la durata del periodo di ripensamento è estesa ad un anno.
Il diritto di recesso è esteso alle aste online, come eBay.
Le norme si applicano a vendite via internet, per telefono e per corrispondenza e a vendite effettuate al di fuori di punti vendita, ad esempio, al domicilio del consumatore, per strada, etc..
5) Maggiori diritti di rimborso
I commercianti sono tenuti a rimborsare i consumatori per il prodotto entro 14 giorni dal recesso esercitato in conformità al codice del consumo e alla Direttiva di cui sopra.
Il rimborso deve coprire anche le spese di consegna.
Il commerciante assume il rischio di eventuali danni alle merci che si verificano durante il trasporto fino al momento in cui l’acquirente ne prende possesso.
6) Introduzione di un modulo di recesso standard per l’intera UE
7) Eliminazione di sovrattasse per l’uso di carte di credito e di servizi di assistenza telefonica
I commercianti non potranno più addebitare ai consumatori costi supplementari per i pagamenti con carta di credito (o altri mezzi di pagamento), se non i costi effettivamente sostenuti per offrire tale opzione di pagamento.
I commercianti che mettono a disposizione linee telefoniche di assistenza, su cui i clienti possono contattarli relativamente al contratto, non potranno addebitare per le telefonate più dei normali costi telefonici.
8) Informazioni più chiare su chi sopporta le spese di restituzione delle merci
Se i commercianti intendono far sostenere ai clienti i costi di resa delle merci in caso di ripensamento, essi devono informarne chiaramente e preventivamente i consumatori, altrimenti tali costi rimarranno a loro carico.
9) Migliore tutela dei consumatori riguardo ai prodotti digitali
Le informazioni sui contenuti digitali devono essere più chiare, comprese quelle relative alla compatibilità con hardware e software e all’applicazione di eventuali sistemi tecnici di protezione, che ad esempio limitino il diritto del consumatore di fare copie del contenuto.
I consumatori avranno il diritto di recedere dagli acquisti di contenuti digitali, come i download di musica o di video, ma solo fino a quando ha inizio l’effettivo processo di download.
10) Introduzione di norme comuni per le imprese che renderanno più agevoli gli scambi in tutta Europa