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Dal Safe Harbour al Privacy Shield: il nuovo accordo USA – UE sui dati personali

A cura dell’Avv. Massimo Simbula

Il 2 febbraio scorso, la Commissione Europea ha annunciato di aver raggiunto un accordo politico con gli Stati Uniti su un nuovo quadro per i trasferimenti trans-atlantici di dati, a seguito della pronuncia da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea (“CGUE”) nel caso di Schrems in ottobre 2015 che ha sancito l’invalidità e inadeguatezza del Safe Harbour. Si tratta della sentenza del 6 ottobre 2015 nel procedimento n. C-362/14.

L’accordo quadro, rinominato “Scudo della Privacy UE-USA” (Privacy Shield), è stato concluso tra l’UE e gli Stati Uniti attraverso uno “scambio di lettere” ed è stato approvato dal Collegio dei Commissari UE.

L’entrata in vigore del Privacy Shield, tuttavia, dipende dalla decisione finale della Commissione UE e dalla “decisione sull’adeguatezza” affidata al Vice Presidente responsabile del mercato unico digitale, Andrus Ansip e al Commissario per la giustizia, Vera Jourová e dall’implementazione da parte degli Stati Uniti degli impegni assunti nel quadro dell’accordo.

Ms Jourová ha comunicato che l’accordo potrebbe entrare in vigore entro tre mesi.

Principali novità rispetto al Safe Harbour.

1) Le società statunitensi che importano dati personali dall’Area economica europea (“AEE”) devono impegnarsi pubblicamente ad un equo trattamento di tali dati.

2) Il Governo degli Stati Uniti può accedere ai dati personali importati dall’UE ma solo per motivi di sicurezza nazionale e con una chiara e rigorosa delimitazione delle motivazioni e secondo criteri improntati sempre alla massima trasparenza.

3) Si dovranno introdurre meccanismi per garantire i diritti fondamentali dei cittadini europei a tutela della loro privacy e dei loro dati personali.

4) E’ prevista una revisione annua congiunta dei termini dell’accordo USA – UE, al fine di monitorare l’attuazione da parte degli USA dei suoi impegni.

Obblighi a carico di società statunitensi

In applicazione del nuovo regime, le società statunitensi che intendono “importare” dati personali dall’Europa, devono impegnarsi pubblicamente ad una serie di precisi obblighi relativi alla modalità di elaborazione di tali dati personali al fine di garantire i diritti individuali delle persone interessate.

Sarà il Dipartimento del commercio degli Stati Uniti a dover monitorare costantemente e garantire il corretto rispetto di tali principi che saranno, dal medesimo Dipartimento, pubblicati.

La violazione di questi impegni sarà oggetto di valutazione da parte della US Federal Trade Commission (la “FTC”) sotto sezione 5a della Federal Trade Commission Act, che ha, tra i suoi vari compiti, quello di tutelare i consumatori.

Ora: affidare questo importante compito alla Federal Trade Commission, ha lasciato molti – me compreso – piuttosto perplessi, posto che la FTC dal 2002 al 2013 ha avviato 50 procedimenti contro altrettante aziende in relazione alle modalità di trattamento dei dati personali e di questi 50 procedimenti, 48 si sono conclusi con un accordo con le aziende.

Affidare ad un organo che si è dimostrato in passato piuttosto permissivo nei confronti delle aziende potrebbe non essere una grande idea.

Reazioni delle aziende.

In linea generale, le aziende operanti nel settore digitale, hanno applaudito l’accordo che re-introduce un elemento di certezza giuridica per oltre 3.000 operatori solo negli Stati Uniti, che fanno affidamento su tale certezza per legittimare i loro trasferimenti di dati personali dall’UE agli Stati Uniti.

Va detto tuttavia che la revisione annuale dell’accordo sopra indicata, non consente alle aziende di dormire sonni tranquilli come è stato nel decennio passato.

Un riepilogo di cosa è successo.

La direttiva sul trattamento dei dati personali dispone che il trasferimento di tali dati verso un paese terzo può avere luogo, in linea di principio, solo se il paese terzo di cui trattasi garantisce per questi dati un adeguato livello di protezione. Sempre secondo la direttiva, la Commissione può constatare che un paese terzo, in considerazione della sua legislazione nazionale o dei suoi impegni internazionali, garantisce un livello di protezione adeguato. Infine, la direttiva prevede che ogni Stato membro designi una o più autorità pubbliche incaricate di sorvegliare l’applicazione nel suo territorio delle disposizioni di attuazione della direttiva adottate dagli Stati membri («autorità nazionali di controllo»).

Il sig. Maximilian Schrems, un cittadino austriaco, utilizza Facebook dal 2008. Come accade per gli altri iscritti che risiedono nell’Unione, i dati forniti dal sig. Schrems a Facebook sono trasferiti, in tutto o in parte, a partire dalla filiale irlandese di Facebook, su server situati nel territorio degli Stati Uniti, dove sono oggetto di trattamento.

Il sig. Schrems ha presentato una denuncia presso l’autorità irlandese di controllo ritenendo che, alla luce delle rivelazioni fatte nel 2013 dal sig. Edward Snowden in merito alle attività dei servizi di intelligence negli Stati Uniti (in particolare della National Security Agency, o «NSA»), il diritto e le prassi statunitensi non offrano una tutela adeguata contro la sorveglianza svolta dalle autorità pubbliche sui dati trasferiti verso tale paese.

L’autorità irlandese ha respinto la denuncia, segnatamente con la motivazione che, in una decisione del 26 luglio 2002, la Commissione ha ritenuto che, nel contesto del cosiddetto regime di «approdo sicuro», gli Stati Uniti garantiscano un livello adeguato di protezione dei dati personali trasferiti.

La High Court of Ireland (Alta Corte di giustizia irlandese), investita della causa, vuole sapere se questa decisione della Commissione produca l’effetto di impedire ad un’autorità nazionale di controllo di indagare su una denuncia con cui si lamenta che un paese terzo non assicura un livello di protezione adeguato e, se necessario, di sospendere il trasferimento di dati contestato.

Nella sua sentenza, la Corte di Giustizia Europea reputa che l’esistenza di una decisione della Commissione che dichiara che un paese terzo garantisce un livello di protezione adeguato dei dati personali trasferiti non può sopprimere e neppure ridurre i poteri di cui dispongono le autorità nazionali di controllo in forza della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della direttiva.

La Corte sottolinea, a questo proposito, il diritto alla protezione dei dati personali garantito dalla Carta e la missione di cui sono investite le autorità nazionali di controllo in forza della Carta medesima.

La Corte considera anzitutto che nessuna disposizione della direttiva osta a che le autorità nazionali controllino i trasferimenti di dati personali verso paesi terzi oggetto di una decisione della Commissione. Anche quando esiste una decisione della Commissione, quindi, le autorità nazionali di controllo, investite di una domanda, devono poter esaminare in piena indipendenza se il trasferimento dei dati di una persona verso un paese terzo rispetti i requisiti stabiliti dalla direttiva.

Tuttavia, la Corte ricorda che solo essa è competente a dichiarare invalida una decisione della Commissione, così come qualsiasi atto dell’Unione. Pertanto, qualora un’autorità nazionale o una persona ritenga che una decisione della Commissione sia invalida, tale autorità o persona deve potersi rivolgere ai giudici nazionali affinché, nel caso in cui anche questi nutrano dubbi sulla validità della decisione della Commissione, essi possano rinviare la causa dinanzi alla Corte di giustizia.

Pertanto, in ultima analisi è alla Corte che spetta il compito di decidere se una decisione della Commissione è valida o no.

La Corte passa quindi a verificare la validità della decisione della Commissione del 26 luglio 2000.

A questo proposito, la Corte ricorda che la Commissione era tenuta a constatare che gli Stati Uniti garantiscono effettivamente, in considerazione della loro legislazione nazionale o dei loro impegni internazionali, un livello di protezione dei diritti fondamentali sostanzialmente equivalente a quello garantito nell’Unione a norma della direttiva, interpretata alla luce della Carta.

La Corte osserva che la Commissione non ha proceduto a una constatazione del genere, ma si è limitata a esaminare il regime dell’approdo sicuro.

Orbene, senza che alla Corte occorra verificare se questo sistema garantisce un livello di protezione sostanzialmente equivalente a quello assicurato nell’Unione, la Corte rileva che esso è esclusivamente applicabile alle imprese americane che lo sottoscrivono e che, invece, le autorità pubbliche degli Stati Uniti non vi sono assoggettate. Inoltre, le esigenze afferenti alla sicurezza nazionale, al pubblico interesse e all’osservanza delle leggi statunitensi prevalgono sul regime dell’approdo sicuro, cosicché le imprese americane sono tenute a disapplicare, senza limiti, le norme di tutela previste da tale regime laddove queste ultime entrino in conflitto con tali esigenze.

Il regime americano dell’approdo sicuro rende così possibili ingerenze da parte delle autorità pubbliche americane nei diritti fondamentali delle persone, e la decisione della Commissione non menziona l’esistenza, negli Stati Uniti, di norme intese a limitare queste eventuali ingerenze, né l’esistenza di una tutela giuridica efficace contro tali ingerenze.

La Corte considera che questa ricostruzione è avvalorata da due comunicazioni della Commissione, dalle quali si evince, segnatamente, che le autorità degli Stati Uniti potevano accedere ai dati personali trasferiti dagli Stati membri verso tale paese e trattarli in modo incompatibile, in particolare, con le finalità del loro trasferimento, anche effettuando un trattamento in eccesso rispetto a ciò che era strettamente necessario e proporzionato alla tutela della sicurezza nazionale.

Analogamente, la Commissione ha dichiarato che le persone interessate non disponevano di rimedi amministrativi o giurisdizionali intesi, in particolare, ad accedere ai dati che le riguardano e, se necessario, ad ottenerne la rettifica o la cancellazione.

Per quanto attiene al livello di tutela sostanzialmente equivalente alle libertà e ai diritti fondamentali garantiti all’interno dell’Unione, la Corte dichiara che, nel diritto dell’Unione, una normativa non è limitata allo stretto necessario se autorizza in maniera generalizzata la conservazione di tutti i dati personali di tutte le persone i cui dati sono trasferiti dall’Unione verso gli Stati Uniti senza che sia operata alcuna differenziazione, limitazione o eccezione in funzione dell’obiettivo perseguito e senza che siano fissati criteri oggettivi intesi a circoscrivere l’accesso delle autorità pubbliche ai dati e la loro successiva utilizzazione.

La Corte soggiunge che una normativa che consenta alle autorità pubbliche di accedere in maniera generalizzata al contenuto di comunicazioni elettroniche deve essere considerata lesiva del contenuto essenziale del diritto fondamentale al rispetto della vita privata.

Parimenti, la Corte osserva che una normativa che non preveda alcuna facoltà per il singolo di esperire rimedi giuridici diretti ad accedere ai dati personali che lo riguardano o ad ottenerne la rettifica o la cancellazione viola il contenuto essenziale del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva, facoltà, questa, che è connaturata all’esistenza di uno Stato di diritto.

Infine, la Corte dichiara che la decisione della Commissione del 26 luglio 2000 priva le autorità nazionali di controllo dei loro poteri nel caso in cui una persona contesti la compatibilità della decisione con la tutela della vita privata e delle libertà e diritti fondamentali delle persone. La Corte afferma che la Commissione non aveva la competenza di limitare in tal modo i poteri delle autorità nazionali di controllo.

Per questo complesso di motivi, la Corte dichiara invalida la decisione della Commissione del 26 luglio 2000. Tale sentenza comporta la conseguenza che l’autorità irlandese di controllo è tenuta a esaminare la denuncia del sig. Schrems con tutta la diligenza necessaria e che a essa spetta, al termine della sua indagine, decidere se, in forza della direttiva, occorre sospendere il trasferimento dei dati degli iscritti europei a Facebook verso gli Stati Uniti perché tale paese non offre un livello di protezione dei dati personali adeguato.