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Moneta buona scaccia moneta cattiva. Un breve ragionamento geopolitico su Bitcoin e sulle monete di stato

Moneta buona scaccia moneta cattiva

Banca d’Italia ha di recente pubblicato, nell’ottobre 2024, il n. 54 della collana “Mercati, infrastrutture, sistemi di pagamento”.

Il paper, relativo alla revisione della PSD2 (nella nuova PSD3) e al coordinamento con il MiCAR, affronta, in maniera direi pionieristica in Europa, una serie di criticità legate all’uso delle cripto-attività come strumento di pagamento.

Un passaggio, contenuto a pag. 19, allorquando parla di ART (gli asset-referenced token previsti dal MICAR) mi ha particolarmente colpito:

In particolare, l’utilizzabilità degli ART come mezzo di scambio è sì esplicitamente riconosciuta dal MiCAR ma con un insieme di presidi e restrizioni volti a evitare impatti negativi sul sistema finanziario e dei pagamenti. Ciò in quanto la diffusione su vasta scala di un ART impiegato con finalità di pagamento potrebbe minare il ruolo delle valute ufficiali e ostacolare la sovranità monetaria dei singoli Stati”.

In buona sostanza si ribadisce, per motivazioni facilmente intuibili, la necessità di limitare (attraverso una regolamentazione dall’alto) un fenomeno di diffusione già in atto e in evidente crescita, al fine di perdere il controllo sulla sovranità monetaria e minare il ruolo di quelle che vengono definite “valute ufficiali”.

Facciamo un attimo un passo indietro. E per l’esattezza alla legge di Gresham.

La legge di Gresham, formulata dal mercante e banchiere inglese Thomas Gresham nel XVI secolo, sostiene che la “moneta cattiva scaccia quella buona“. In sostanza, significa che gli operatori economici preferiscono usare nelle transazioni monete di minor valore intrinseco, riservando quelle di maggior valore per conservarle o accumularle. Al tempo in cui fu concepita la teoria, si riferiva al comportamento dei mercanti, cambiavalute e banchieri che tendevano a pagare con monete logorate o parzialmente prive di metallo prezioso, mentre accettavano solo monete nuove e non danneggiate, il cui valore intrinseco corrispondeva a quello nominale.

In un contesto monetario in cui il valore di una moneta era dato dal contenuto di metalli preziosi come l’oro o l’argento, era comune che le monete circolanti perdessero parte del loro metallo a causa dell’usura o di pratiche illegali come la tosatura, ossia il taglio o la raschiatura dei bordi per ricavare materiale prezioso. Questo portava a una distinzione tra monete “buone” – che conservavano il contenuto di metallo originario – e monete “cattive” – il cui valore intrinseco risultava minore rispetto al valore facciale.

A causa di questa differenza, la moneta “cattiva” tendeva a rimanere in circolazione, mentre quella “buona” veniva messa da parte o usciva dal sistema. Gresham osservò che, se il valore intrinseco di una moneta non veniva mantenuto costante attraverso leggi o norme che regolassero peso e lega, le monete più nuove e “buone” sparivano dalla circolazione, sostituite da monete di valore inferiore.

Questa dinamica, descritta da Gresham, è alla base del fallimento dei sistemi monetari bimetallici, in cui monete di valore diverso circolavano insieme, causando problemi di mantenimento del valore reale del denaro in circolazione.

La domanda è: può essere che le cosiddette “valute ufficiali” prive di un effettivo valore intrinseco e di un sottostante, siano effettivamente la nuova moneta cattiva del nostro mondo, mentre le nuove monete digitali, se effettivamente basate su un sistema distribuito e decentralizzato come Bitcoin, siano invece le nuove monete buone?

Può essere che le grandi istituzioni finanziarie di oggi stiano investendo in Bitcoin vedendolo come una stabile riserva di valore, decisamente più solida e con un valore economico reale superiore rispetto alle attuali valute di stato e indipendente da questioni geopolitiche e governative?

Il MiCAR, in questo senso, introduce una regolamentazione armonizzata a livello europeo per l’offerta al pubblico, l’emissione e la negoziazione di cripto-attività diverse da quelle che rappresentano versioni digitali di strumenti già rientranti nel campo di applicazione degli atti legislativi dell’UE in materia di servizi finanziari. Il regolamento europeo individua tre tipologie di cripto-attività, con l’applicazione di regole distinte. Le prime due categorie rappresentano quelle che nella pratica di mercato sono comunemente note come stablecoin: si tratta dei token di moneta elettronica (electronic money token – EMT), che mirano a mantenere un valore stabile facendo riferimento al valore di una valuta ufficiale, e dei token collegati ad attività sottostanti (asset-referenced token – ART), che mirano a mantenere un valore stabile facendo riferimento a un altro valore o diritto o a una combinazione dei due, comprese una o più valute ufficiali.

Il MiCAR considera gli EMT l’equivalente tokenizzato della moneta elettronica, riservando pertanto l’emissione a banche e istituti di moneta elettronica (IMEL) e prevedendo l’applicazione della disciplina della Direttiva sulle monete elettroniche (EMD2), salvo ove diversamente specificato dal MiCAR stesso.

Da questo punto di vista il paper di Banca d’Italia appare oltre modo interessante poiché affronta una importante tematica: gli EMT si contraddistinguono per una duplice natura, essendo al tempo stesso ricompresi nella nozione di cripto-attività, da un lato, e in quelle di moneta elettronica e di fondi, dall’altro. Da questa duplice caratterizzazione derivano diverse questioni rispetto al coordinamento tra il MiCAR e la disciplina sui servizi di pagamento.

Tuttavia, non vi è chi non veda una interessante sovrapposizione con le criticità evidenziate dal “bimetallismo” e con l’evidente necessità degli Stati di tenere saldo il controllo sulla moneta (anche elettronica), evitando una sostanziale privatizzazione della stessa con conseguente diffusione di quelle che vengono definite (decisamente impropriamente) valute virtuali, minando potenzialmente la stabilità dei mercati finanziari.

Modificando il punto di osservazione, parrebbe invece che l’attuale sistema monetario, basato su monete totalmente prive di valore intrinseco e valide solo grazie alla “autorevolezza” degli Stati, sia obiettivamente in crisi proprio in considerazione della perdita di autorevolezza di certi Stati.

Gli eventi bellici di questi ultimi anni, l’impotenza di organizzazioni internazionali come l’ONU, la cattiva gestione di eventi pandemici come il COVID o ancora la diffusa corruzione nelle pubbliche amministrazioni a partire dai gravi casi di cronaca all’interno della Commissione europea sino ai più vicini fenomeni corruttivi di Comuni e Authority a vari livelli, unita alla evidente crisi economica generalizzata, sta corrodendo giorno dopo giorno la fiducia dei cittadini verso l’ordine costituito, con persone ed imprese che si sentono spesso sole e abbandonate da Governi che – nel frattempo – elevano progressivamente la pressione fiscale a vari livelli e da sistemi di Giustizia che, a causa delle lungaggini e costi processuali, lasciano la difesa dei diritti sempre più a vantaggio di pochi (o del più forte).

Tutto questo, non fa che generare un’onda difficilmente controllabile e l’aumento dei casi in cui i cittadini iniziano a farsi “giustizia da sé” è sensibilmente percepibile.

In questo contesto, gli Stati, anziché contrastare la diffusione di fenomeni “libertari”, dovrebbero studiarne le ragioni più profonde, capire la portata innovativa della digitalizzazione, e identificare le priorità guidando certi processi evolutivi (non scomoderei le rivoluzioni). Solo in questo modo, evitando contrapposizioni, si potrà tornare ad un dialogo e ad un “patto” tra le esigenze pubbliche e quelle private, riformando il sistema governativo e quello giudiziario sulla base di un pilastro fondamentale: quello della decentralizzazione.

In questo senso, i criproasset e le soluzioni di finanza decentralizzata, i wallet non custodial, le DAO, gli Smart Contract, altro non sono che espressioni (nel mondo finanziario) di una parte di questa esigenza libertaria ed andrebbero valorizzate e guidate e non palesemente ostacolate e rigidamente regolate come nel caso del MiCAR, una regolamentazione, vale sempre la pena ricordarlo, che pur regolando il mondo delle cripto-attività non cita mai (se non in maniera del tutto incidentale), lo straordinario valore della crittografia che, in un epoca di spioni e di violazioni della nostra sicurezza informatica, diventa un bene quantomai da preservare.