Roger Schank non le manda certo a dire ad IBM in un articolo al vetriolo recentemente pubblicato sul suo sito e dal titolo “Le affermazioni fraudolente fatte da IBM su Watson e sulla Intelligenza Artificiale“.
Dice il vulcanico Roger:
“Sarebbe carino se IBM abbassasse i toni e l’hype relativo all’Intelligenza Artificiale e dicesse veramente cosa Watson può veramente fare e non fare e la smettesse di fare affermazioni senza senso. IBM sta semplicemente mentendo e deve smetterla”
La tesi di Schank è la seguente:
Se la base logica su cui si basa Watson è fondata su una analisi delle parole presenti in qualunque tipo di contenuto, c’è il rischio che una larga parte di contenuti non venga classificato correttamente.
Infatti il significato o concetto che potrebbe essere espresso con tali parole in alcuni casi è desumibile dal contesto e pertanto non è necessaria la parola per esprimere il concetto ma lo è invece il contesto.
Schank (che nel 1984 ha scritto un interessante libro “Cognitive Computer“), sostiene che Watson non sarebbe in grado di elaborare concetti oltre l’analisi delle parole e che può analizzare quanti milioni di parole al mondo senza però realmente comprendere meccanismi logici e estrapolare concetti contenuti nel contesto o conseguenti ad una reale esperienza.
Roger Schank è un eminente studio e terorizzatore dell’intelligenza artificiale, con un passato accademico tra Stanford e Yale, e la sua accusa da IBM ha un peso specifico notevole che potrebbe sicuramente portare a delle conseguenze.
Di certo, in questo periodo si parla con una certa enfasi di come l’intelligenza artificiale sostituirà l’uomo in molti campi (non ultimo proprio il lavoro degli avvocati) e l’instancabile lavoro di ricerca di molte aziende, in primis proprio IBM, nel settore dell’intelligenza artificiale contribuisce ad una accelerazione del fenomeno.
E’ però vero che il tema del contesto, della personalizzazione, della analisi “umana” di un certo fenomeno (sia esso medico, legale, psicologico, o quant’altro) non può basarsi solo ed esclusivamente sulla banale ricerca semantica.
Il dato derivante dall’esperienza è fondamentale.
D’altra parte parrebbe che su molti fronti si stia lavorando proprio su questo punto: la possibilità di ricreare reti neurali artificiali che consentano al computer di “vivere” l’esperienza e apprendere concetti non solo sulla base di parole chiave estratte da miliardi di testi in rete ma anche da elementi derivanti dal contesto generale.
Su queste reti neurali si lavora da molti anni e Schank ne è un grande esperto.
Ecco il perché questo articolo andrebbe letto con attenzione anche se da prendere con le dovute cautele poiché mi sembra contenga (in maniera non del tutto velata) delle scomposte accuse ad IBM (come per esempio il richiamo al fatto che IBM avrebbe “gradito” molte parole utilzzate da Schank nel suo libro) che tradiscono riferimenti più alla persona Roger Schank che ai suoi studi.
E come dice lui, l’inverno non è lontano.