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Bitcoin: aggiornamento legale

Articolo a cura dell’Avv. Massimo Simbula

A livello internazionale ci si pone sempre più spesso il problema di come inquadrare dal punto di vista legale e fiscale quelle che impropriamente vengono definite Cryptocurrencies (quali Bitcoin).

Recentemente l’Agenzia delle entrate Statunitense (IRS) ha chiarito, con comunicazione n. 2014-21, che le Cryptocurencies in realtà non costituiscono una valuta ma una proprietà, richiamandosi così all’interpretazione già avanzata dall’ente governativo per i reati finanziari, il FinCEN, il quale era già giunto alle medesime conclusioni nel 2013 con comunicazione FIN-2013-G001.

Le conseguenze economiche di tali interpretazioni sono estremamente rilevanti.

Con la citata comunicazione del 2013, il FinCEN ha operato una distinzione tra valuta “reale” da una parte, composta da monete di metallo e banconote, coniate e stampate negli Stati Uniti o in altri paesi che designano tali monete e banconote come valuta legale, e le cryptocurrencies dall’altra, che possono avere una finalità analoga a quella delle monete o banconote aventi corso legale nel paese di emissione, ma che, a differenza di queste ultime, non possono essere considerate tecnicamente come “valuta”.

Fatta questa (si direbbe ovvia) precisazione, il FinCEN chiarisce che i “semplici utilizzatori” i quali detengono o si scambiano cryptocurrencies, non sono in effetti coinvolti in un interscambio di valuta e che pertanto non sono tenuti agli obblighi di registrazione e di reportistica a cui sono tenuti coloro che interscambiano valuta secondo le regole del FinCEN.

Per semplice utilizzatore si intende il singolo individuo che compra cryptocurrencies per scopi personali o colui che, per scopi professionali, accetta come pagamento dei suoi prodotti o servizi forniti, le cryptocurrencies.

Tuttavia, mentre alcun obbligo particolare può essere ascritto ai citati semplici utilizzatori (in inglese “mere users”), lo stesso trattamento non può essere riservato invece a coloro che, operano nella qualità di gestori o trasmittenti delle cryptocurrencies (come i gestori di portafogli bitcoin) i quali sono soggetti alla regolamentazione del FinCEN.

Questa comunicazione tuttavia non aiuta a chiarire le cose e, anzi, pone coloro che incassano cryptocurrency a qualunque titolo, ma non le “monetizzano” immediatamente, convertendole in moneta reale, in una sostanziale area grigia tra coloro che non sono tenuti ad alcun obbligo di rendicontazione, registrazione e reportistica e coloro che invece sono a tali obblighi vincolati.

Si dovrà per ora attendere i primi casi di contenzioso che inevitabilmente si solleveranno dinanzi alle commissioni tributarie.

Mentre diversi operatori per ora decidono di stare in questa area grigia, altri cercano di registrarsi al FinCEN come “Money Service Business”, al fine di non dover incorrere in potenziali sanzioni e impegnandosi quindi a rispettare le rilevanti normative applicabili nei confronti di tutti quelli che esercitano gestione di servizi monetari.

I Bitcoins (la più popolare delle cryptocurrencies) è stata ad oggi oggetto di numerosi provvedimenti più o meno scomposti, provenienti da vari paesi, autorità fiscali e banche centrali.

– La Russia ha proibito senza tanti complimenti l’uso dei bitcoin.
– L’Australia per ora tiene un occhio chiuso sull’evoluzione del mercato dei bitcoin ma è pronta ad intervenire per limitarne la diffusione come più volte preannunciato da autorità e esponenti del governo in carica.
– Il Canada è il paese più prolifico nell’emettere regolamenti e comunicati tesi ad inquadrare i bitcoin. Da ultimo si ricorda il fact sheet del 2013 in cui si è chiarito che a livello fiscale le norme applicabili ai bitcoin sono quelle del baratto e non quelle dell’interscambio di valuta. Si veda in proposito il documento del Canadian Revenues Agency n. 2013-0514701I7 del 23 dicembre 2013.

Pochi paesi al mondo comunque hanno tentato di regolare, in modo organizzato e coerente, l’uso dei Bitcoins.

Un parametro che le autorità fiscali e gli esperti fiscali americani stanno cercando di adottare è quello (piuttosto incerto a dire il vero) del cosiddetto “fair market value” da calcolarsi sia al momento dell’acquisizione del Bitcoin che al momento in cui viene speso con eventuale plus/minus valenza.

Secondo questa interpretazione, ad esempio, se l’8 aprile 2014 vendo un bene al prezzo di 50 USD e nel medesimo giorno incasso (in luogo della moneta avente corso legale) come corrispettivo un bitcoin che l’8 aprile 2014 vale 50 USD, ma poi lo spendo il 10 aprile 2014, quando la valutazione generale del Bitcoin (sulla base del suo fair market value) è pari a 500 USD, il profitto netto rilevante ai fini fiscali è di 500 USD ( e non 50 USD) con una plusvalenza di 450 USD.

E’ evidente che tale ragionamento a mio avviso rischia di fare acqua da tutte le parti e i potenziali accertamenti fiscali sarebbero oggetto di una pioggia di ricorsi poichè 1) è assolutamente, almeno per ora, aleatorio, parlare di Fair Market Value del bitcoin; 2) Tassare la plusvalenza su un bene fungibile come il bitcoin, tra l’altro senza limitazioni temporali, lascerebbe il cittadino che lo vuole utilizzare o spendere, potenzialmente sempre soggetto ad una scure fiscale poco adatta alla circolazione del Bitcoin e al fine a cui questa Cryptocurrency è destinata.

Direi quindi che se da una parte può essere accolta con favore la comunicazione del FinCEN con la quale si stabilisce che i semplici utilizzatori di Bitcoins non sono tenuti ad alcun obbligo di rendicontazione o registrazione, o reportistica, direi lascia alquanto sgomenti questo tentativo di tassare a tutti i costi il Bitcoin, utilizzando criteri del tutto aleatori e poco verificabili e riportandolo semplicemente e genericamente al concetto giuridico/fiscale di proprietà o commodity.

Per ora, la cosa migliore sarebbe non regolarlo (o quantomeno regolare solo i gestori di portafogli di bitcoin) perchè nel lungo periodo questo potrà portare ad un innegabile incremento dello scambio di beni e servizi contribuendo a far crescere l’economia molto più di quanto possa farlo un aumento della pressione fiscale, consentendo al contempo al fenomeno di svilupparsi e di acquisire maggiore stabilità e trasparenza.

Per una approfondita analisi fiscale e legale dei Bitcoins da una prospettiva del continente asiatico e pacifico, si invita a leggere l’articolo di lexatlas.com[:en]Articolo a cura dell’Avv. Massimo Simbula

A livello internazionale ci si pone sempre più spesso il problema di come inquadrare dal punto di vista legale e fiscale quelle che impropriamente vengono definite Cryptocurrencies (quali il Bitcoin).

Recentemente l’Agenzia delle entrate Statunitense (IRS) ha chiarito, con comunicazione n. 2014-21, che le Cryptocurencies in realtà non costituiscono una valuta ma una proprietà, richiamandosi così all’interpretazione già avanzata dall’ente governativo per i reati finanziari, il FinCEN, il quale era già giunto alle medesime conclusioni nel 2013 con comunicazione FIN-2013-G001.

Le conseguenze economiche di tali interpretazioni sono estremamente rilevanti.

Con la citata comunicazione del 2013, il FinCEN ha operato una distinzione tra valuta “reale” da una parte, composta da monete di metallo e banconote, coniate e stampate negli Stati Uniti o in altri paesi che designano tali monete e banconote come valuta legale, e le cryptocurrencies dall’altra, che possono avere una finalità analoga a quella delle monete o banconote aventi corso legale nel paese di emissione, ma che, a differenza di queste ultime, non possono essere considerate tecnicamente come “valuta”.

Fatta questa (si direbbe ovvia) precisazione, il FinCEN chiarisce che i “semplici utilizzatori” i quali detengono o si scambiano cryptocurrencies, non sono in effetti coinvolti in un interscambio di valuta e che pertanto non sono tenuti agli obblighi di registrazione e di reportistica a cui sono tenuti coloro che interscambiano valuta secondo le regole del FinCEN.

Per semplice utilizzatore si intende il singolo individuo che compra cryptocurrencies per scopi personali o colui che, per scopi professionali, accetta come pagamento dei suoi prodotti o servizi forniti, le cryptocurrencies.

Tuttavia, mentre alcun obbligo particolare può essere ascritto ai citati semplici utilizzatori (in inglese “mere users”), lo stesso trattamento non può essere riservato invece a coloro che, operano nella qualità di gestori o trasmittenti delle cryptocurrencies (come i gestori di portafogli bitcoin) i quali sono soggetti alla regolamentazione del FinCEN.

Questa comunicazione tuttavia non aiuta a chiarire le cose e, anzi, pone coloro che incassano cryptocurrency a qualunque titolo, ma non le “monetizzano” immediatamente, convertendole in moneta reale, in una sostanziale area grigia tra coloro che non sono tenuti ad alcun obbligo di rendicontazione, registrazione e reportistica e coloro che invece sono a tali obblighi vincolati.

Si dovrà per ora attendere i primi casi di contenzioso che inevitabilmente si solleveranno dinanzi alle commissioni tributarie.

Mentre diversi operatori per ora decidono di stare in questa area grigia, altri cercano di registrarsi al FinCEN come “Money Service Business”, al fine di non dover incorrere in potenziali sanzioni e impegnandosi quindi a rispettare le rilevanti normative applicabili nei confronti di tutti quelli che esercitano gestione di servizi monetari.

I Bitcoins (la più popolare delle cryptocurrencies) è stata ad oggi oggetto di numerosi provvedimenti più o meno scomposti, provenienti da vari paesi, autorità fiscali e banche centrali.

– La Russia ha proibito senza tanti complimenti l’uso dei Bitcoins.
– L’Australia per ora tiene un occhio chiuso sull’evoluzione del mercato dei Bitcoins ma è pronta ad intervenire per limitarne la diffusione come più volte preannunciato da autorità e esponenti del governo in carica.
– Il Canada è il paese più prolifico nell’emettere regolamenti e comunicati tesi ad inquadrare i Bitcoins. Da ultimo si ricorda il fact sheet del 2013 in cui si è chiarito che a livello fiscale le norme applicabili ai Bitcoins sono quelle del baratto e non quelle dell’interscambio di valuta. Si veda in proposito il documento del Canadian Revenues Agency n. 2013-0514701I7 del 23 dicembre 2013.

Pochi paesi al mondo comunque hanno tentato di regolare, in modo organizzato e coerente, l’uso dei Bitcoins.

Un parametro che le autorità fiscali e gli esperti fiscali americani stanno cercando di adottare è quello (piuttosto incerto a dire il vero) del cosiddetto “fair market value” da calcolarsi sia al momento dell’acquisizione del Bitcoin che al momento in cui viene speso con eventuale plus/minus valenza.

Secondo questa interpretazione, ad esempio, se l’8 aprile 2014 vendo un bene al prezzo di 50 USD e nel medesimo giorno incasso (in luogo della moneta avente corso legale) come corrispettivo un bitcoin che l’8 aprile 2014 vale 50 USD, ma poi lo spendo il 10 aprile 2014, quando la valutazione generale del Bitcoin (sulla base del suo fair market value) è pari a 500 USD, il profitto netto rilevante ai fini fiscali è di 500 USD ( e non 50 USD) con una plusvalenza di 450 USD.

E’ evidente che tale ragionamento a mio avviso rischia di fare acqua da tutte le parti e i potenziali accertamenti fiscali sarebbero oggetto di una pioggia di ricorsi poichè 1) è assolutamente, almeno per ora, aleatorio, parlare di Fair Market Value del Bitcoin; 2) Tassare la plusvalenza su un bene fungibile come il Bitcoin, tra l’altro senza limitazioni temporali, lascerebbe il cittadino che lo vuole utilizzare o spendere, potenzialmente sempre soggetto ad una scure fiscale poco adatta alla circolazione del Bitcoin e al fine a cui questa Cryptocurrency è destinata.

Direi quindi che se da una parte può essere accolta con favore la comunicazione del FinCEN con la quale si stabilisce che i semplici utilizzatori di Bitcoins non sono tenuti ad alcun obbligo di rendicontazione o registrazione, o reportistica, direi lascia alquanto sgomenti questo tentativo di tassare a tutti i costi il Bitcoin, utilizzando criteri del tutto aleatori e poco verificabili e riportandolo semplicemente e genericamente al concetto giuridico/fiscale di proprietà o commodity.

Per ora, la cosa migliore sarebbe non regolarlo (o quantomeno regolare solo i gestori di portafogli di Bitcoins) perchè nel lungo periodo questo potrà portare ad un innegabile incremento dello scambio di beni e servizi contribuendo a far crescere l’economia molto più di quanto possa farlo un aumento della pressione fiscale, consentendo al contempo al fenomeno di svilupparsi e di acquisire maggiore stabilità e trasparenza.

Per una approfondita analisi fiscale e legale dei Bitcoins da una prospettiva del continente asiatico e pacifico, si invita a leggere l’articolo di lexatlas.com