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Perchè Beppegrillo.it non è di Beppe Grillo

[:it]Francesco Bonifazi, tesoriere del Partito Democratico ha denunciato per diffamazione, nel 2016, il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, in relazione ad un post pubblicato sul sito www.beppegrillo.it, apparentemente non firmato.

Bonifazi, ha poi pubblicato un atto difensivo dei legali di Grillo, prodotto nel relativo procedimento, dove si rilevava che “Beppe Grillo non è responsabile, quindi non è autore, né gestore, né moderatore, né direttore, né provider, né titolare del dominio, del blog né degli account Twitter e Facebook, non ha alcun potere di direzione né di controllo su tutto ciò che viene postato”.

Ora:

  1. direi sia quantomeno di dubbio gusto pubblicare le legittime difese poste in essere dai legali di Grillo;
  2. pochi conoscevano quel post diffamatorio e grazie a questa simpatica iniziativa mediatica di Bonifazi, ora tutti (o quasi) gli italiani, si sono letti il post incriminato quadruplicando (come minimo) il danno apparentemente subito dai DEM grazie al notorio effetto straisand;
  3. E’ corretto evidenziare il fatto che il principio affermato dai legali del leader pentastellato, in realtà possiede un solido fondamento nella giurisprudenza di merito e di legittimità.Infatti, il blog non è equiparato a una testata giornalistica dalla legge e dalla giurisprudenza della Cassazione. E non si applicano allo stesso blog i principi relativi all’obbligo di sorveglianza a carico del direttore responsabile previsto per le testate tradizionali, cartacee e online.

Anche se andrebbero comunque analizzate le questioni caso per caso e con particolare attenzione alle carte non in mio possesso, in linea generale si potrebbe ritenere che Beppe Grillo non sia effettivamente responsabile in un caso di questo tipo.

Come probabilmente ormai noto, l’amministratore del sito beppegrillo.it è tale Emanuele Bottaro.  Il dominio è stato creato il 15 marzo del 2001.

Beppe Grillo in realtà non risulta essere in alcun modo responsabile o amministratore del sito.  Pubblica alcuni articoli (insieme ad altri blogger) sul sito stesso che, pur portando il suo nome, non gli appartiene.

Il logo del Movimento 5 Stelle, riprodotto nel sito, è invece di sua proprietà, ma anche questo non rileva nel caso di specie.

Se poi ci andiamo a leggere l’informativa privacy del sito, effettivamente notiamo che il titolare del trattamento ai sensi della normativa vigente è proprio Beppe Grillo, mentre il responsabile del trattamento dei dati è Casaleggio Associati s.r.l. , con sede in Milano, Via G.Morone n. 6, 20121.

Ma questo non significa certamente che il titolare del trattamento dati sia anche responsabile dei contenuti pubblicati nel sito.

Come è noto, la Corte di Cassazione ha più volte evidenziato che il reato di diffamazione può essere commesso a mezzo di internet (cfr. Sez. 5, 17 novembre 2000, n. 4741; 4 aprile 2008 n. 16262; 16 luglio 2010 n. 35511 e, da ultimo, 28 ottobre 2011 n. 44126), sussistendo, in tal caso, l’ipotesi aggravata di cui al terzo comma della norma incriminatrice (Cass., Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012), dovendosi presumere la ricorrenza del requisito della comunicazione con più persone, essendo il messaggio diffamatorio, per sua natura, destinato ad essere normalmente letto in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti (Sez. 5, n. 16262 del 04/04/2008).

E’ quindi certamente pacifico che Internet (e i relativi siti, blog, social network e relativi commenti) non può e non deve essere considerata una “zona franca” del diritto, bensì come uno degli ambiti nei quali l’individuo svolge la sua personalità e necessita di una disciplina idonea ad attuare le tutele previste dall’ordinamento.

Se quindi appare condivisibile la responsabilità ex art. 595 comma terzo c.p., del soggetto che pubblica in un sito web, attraverso qualunque modalità (post, commenti ad articoli o post, fotografie, links ecc), parole, frasi, immagini o rappresentazioni atte a ledere l’onore, il decoro o la reputazione di terzi, ciò che appare attualmente oggetto di contrasto giurisprudenziale è invece l’estensione di tale responsabilità anche al gestore del sito web per concorso con l’utente- autore nel reato di diffamazione.

Un importante precedente giurisprudenziale risale al 2013, ed in particolare alla sentenza n. 116/2013 emessa in sede di giudizio abbreviato dal G.u.p. del Tribunale di Varese, pronuncia che si contraddistingue per la soluzione di inedito rigore cui perviene in materia di responsabilità del blogger. In estrema sintesi, secondo tale sentenza, l’amministratore di un blog attraverso il quale sono stati diffusi messaggi offensivi dell’altrui reputazione è direttamente responsabile del reato di diffamazione aggravato dall’uso del mezzo di pubblicità, anche nel caso in cui la condotta lesiva sia stata posta in essere dagli utenti del sito ed indipendentemente dalla predisposizione di filtri.

Ancora più di recente, il 12 novembre 2015 il Tribunale di Belluno ha ritenuto responsabile di diffamazione un giornalista pubblicista amministratore del portale nuovocadore.it, querelato il 19 settembre 2011 da Maurizio Paniz, all’epoca parlamentare di Forza Italia. La condanna si riferisce alla mancata rimozione di un commento pubblicato il 19 aprile 2011 sul forum di discussione del portale, firmato con uno pseudonimo (Smara) da una persona che non era stato possibile identificare. Qualche giorno dopo la pubblicazione, Paniz ne aveva chiesto la cancellazione al gestore del sito il quale tuttavia ne aveva rimosso soltanto una parte, quella che poteva apparire offensiva, lasciando il resto per fini giornalistici (cioè per non far perdere senso alla discussione che si era aperta sul forum). Dalla motivazione della sentenza si ricava che la condanna è dovuta anche al fatto che la rimozione dal sito di parte dell’articolo non era avvenuta con celerità, ma undici giorni dopo la richiesta.

Vicenda analoga quella di Massimiliano Tonelli, blogger fondatore di cartellopoli.net., condannato in primo grado dal Tribunale di Roma a 9 mesi di reclusione per istigazione a delinquere per avere ospitato sul suo blog, secondo la prospettazione fornita dalla parte civile, frasi istigatorie pubblicate da utenti anonimi e dirette a compiere atti di danneggiamento e di furto nei confronti degli impianti pubblicitari di proprietà di una società pubblicitaria e di altre concessionarie (ma poi assolto in appello dalla I sezione penale della Corte d’appello di Roma il 21 novembre 2016, che ha accolto la tesi difensiva della impossibilità di attribuire al blogger una responsabilità editoriale nella gestione del blog).

Interessante anche osservare come una ancor più recente giurisprudenza si sia espressa in modo analogo con riferimento alla responsabilità dei gestori di un gruppo Facebook (ci si riferisce alla sentenza del G.U.P. del Tribunale di Vallo della Lucania n. 22 del 24 febbraio 2016 che ha statuito che l’amministratore di un gruppo Facebook non risponde del reato di diffamazione per i commenti di terzi a meno che non li abbia approvati espressamente o qualora abbia scientemente omesso di cancellare, anche a posteriori, le frasi diffamatorie).

Nonostante la prevalente giurisprudenza di merito e di legittimità abbia negato l’assimilabilità della comunicazione giornalistica su internet a quella tradizionale e l’applicazione delle relative norme (la L. 8 febbraio 1948 n. 47 sulla stampa e l’art. 57 c.p., in forza del loro tenore letterale), anche in forza del divieto di analogia in malam partem che contraddistingue la materia penale (il giudice varesino richiama in proposito il “leading case”, cioè la sentenza del G.i.p. Trib. Oristano, 25 maggio 2000, Z. e altri, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 1405 e Cass. Sez. V, 1 ottobre 2010, Brambilla, in Guida al dir., 2010, 44, 18 ss), la Corte di Cassazione sembrerebbe, nella sostanza di cui alla sentenza in commento, attribuire al gestore di un sito web le medesime responsabilità del direttore di un quotidiano di cui alla Legge n. 47/1948 e successive modifiche e, dopo tre anni di alterne sentenze, appare allinearsi sostanzialmente alla soluzione adottata da alcuni tribunali, pur con qualche distinguo.

Ma qui, il punto, è che Beppe Grillo non parrebbe nè gestore del sito, ne in alcun modo autore del post incriminato. Sostenere che il sito beppegrillo.it sia della persona Beppe Grillo è un grave errore tecnico e politico (credo).

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